Manca meno di una settimana alle presidenziali degli Stati Uniti
«The great Red Wave is coming»: a una meno di una settimana dal voto, Donald Trump evoca ancora una volta l'onda rossa, uno tsunami di voti conservatori che la notte del 3 novembre, a suo dire, gli consegnarà la vittoria alle presidenziali.
Pazienza se il rivale Joe Biden rimane saldamente in testa in tutti i sondaggi. E se in molti agitano lo spettro del dopo Watergate, quando i repubblicani persero Casa Bianca e Senato. Oppure richiamano il «Jimmy Carter scenario», quando l'ex presidente democratico fallì la rielezione travolto dalla recessione e da una grave crisi nazionale, quella degli ostaggi americani in Iran.
Trump ostenta invece sicurezza, mostra di credere nella rimonta e fulmina chiunque nel suo staff o entourage semina dubbi o professa pessimismo. Dalla guarigione dal Covid in poi il presidente appare instancabile, girando il Paese come una trottola al ritmo di tre comizi al giorno. Una strategia che sembra pagare se è vero che il vantaggio di Biden nelle ultime settimane si è comunque assottigliato: il candidato democratico ora è avanti di 7,4 punti, secondo la media calcolata dal sito specializzato RealClearPolitics, mentre nella seconda metà di ottobre il distacco dal presidente era di oltre dieci punti. Un piccolo campanello d'allarme che non può essere sottovalutato.La battaglia finale si gioca tutta in un pugno di Stati chiave, quelli da sempre in bilico che i due candidati non a caso stanno battendo a tappeto. Biden guida pressoché ovunque, ma a preoccuparlo è il testa a testa che si profila in Florida, Georgia, Iowa, North Carolina, Ohio e Arizona. Non è un caso se il suo vantaggio nel complesso degli swing States sia sceso in pochi giorni a 4 punti.
I timori sono soprattutto per la Florida, Stato che assicura al vincitore un pacchetto remunerativo di grandi elettori, quelli che davvero contano per la vittoria finale: per conquistare la Casa Bianca ne servono almeno 270 sui 538 che a dicembre voteranno di fatto per eleggere presidente e vicepresidente.
Biden sa quali siano i rischi di questo sistema elettorale indiretto. E non vuole fare la fine di Hillary Clinton, che quattro anni fa vinse il voto popolare ma, nonostante tre milioni di voti in più, fu sconfitta da Trump che oltre alla Florida riuscì a conquistare anche grandi swing States come la Pennsylvania, il Wisconsin e il Michigan. Il dato positivo per l'ex vicepresidente è che in questi ultimi Stati il suo margine di vantaggio resta per ora ampio. Non è un caso se sono proprio gli Stati su cui in queste ultime ore sta martellando la campagna di Trump.
Il candidato democratico sogna poi di strappare all'avversario due degli Stati tradizionalmente più repubblicani: la Georgia dove i sondaggi danno una sostanziale parità, e il Texas, con Trump avanti poco più di 3 punti. Qui nemmeno Barack Obama riuscì nell'impresa nel 2008 e nel 2012.
Ma la vera incognita di queste elezioni in era di pandemia è il peso del voto anticipato: già un numero record di oltre 64 milioni di americani, secondo i dati dello Us Electoral Project dell'Università della Florida, ha espresso la sua preferenza, in persona o per posta. Circa la metà di questo early voting riguarda proprio quegli Stati chiave che alla fine si riveleranno decisivi. E guardando meglio a questi ultimi dati, Biden può sorridere, visto che negli swing States hanno già votato due milioni di elettori democratici in più rispetto a quelli repubblicani.
Proprio il voto per posta però rappresenta una grande sfida, con i possibili ritardi che rischiano di aprire un contenzioso senza precedenti, tanto da mettere in discussione l'annuncio del vincitore la stessa notte dell'Election Day. Trump, da sempre contrario, ha già promesso battaglia. E la notte elettorale è intenzionato a restare alla Casa Bianca: un segnale che non si arrenderà facilmente di fronte a un'eventuale sconfitta.
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