M5s: dopo il voto aleggia il fantasma della scissione
Nel giorno che si registra il trionfo della piattaforma 5 Stelle per la messa in partica della democrazia diretta e nelle ore in cui si conferma ancora una volta la centralità di Beppe Grillo nel cosmo pentastellato, il fantasma della scissione torna ad affacciarsi con prepotenza come direzione di marcia del Movimento. E non è una cosa da poco, non sono le solite scaramucce parlamentari tra governisti e ortodossi, tra dissidenti e malpancisti. Questa volta la frattura è salita davvero fino ai vertici del Movimento, segnando una spaccatura tra Grillo e Casaleggio che non si era mai vista. E che solo a forza di dichiarazioni volte a gettare acqua sul fuoco, a fine giornata i vertici del movimento sono riusciti a sopire. Ma non abbastanza da convincere Alessandro Di Battista, che con aria mesta annuncia il suo addio. Un addio foriero di una rottura definitiva tra vertici ed ortodossi anche e soprattutto in vista del voto di fiducia al governo Draghi. E dire che il fondatore del Movimento ha provato fino all'ultimo a tenere tutti insieme.
Ha trattato in prima persona le condizioni per la partecipazione del Movimento al governo del Prof, inserendo molte delle condizioni di programma richieste da Di Battista e dai suoi seguaci. Ha assecondato le richieste di Casaleggio e provato a mediare con i parlamentari che da mesi chiedono una separazione decisa tra la forza politica e la sua piattaforma, gestita da un'associazione presieduta però da un imprenditore privato.
«La piattaforma in uso al M5S» arriva a chiamarla, evitando di nominare la parola Rousseau, Dalila Nesci che ha lanciato per prima la guerra a Casaleggio. Ma la dichiarazione di Casaleggio sulla possibilità di ritestare un eventuale No degli iscritti valutando anche la possibilità dell' astensione, è stato un segnale che ha fatto la differenza. È la posizione portata avanti da Di Battista e da Barbara Lezzi che non solo si sono schierati per il No ma avevano lanciato proprio la proposta dell'astensione come via d'uscita per provare a tenere insieme il Movimento. Non a caso l'uscita di Casaleggio ha portato ad un'immediata smentita del capo politico, Vito Crimi: nessuna altra votazione sarebbe seguita ad un eventuale No della base. È un basta a Di Battista e a Casaleggio. Ed anche la presa di distanze del presidente di Rousseau sulla modalità con cui è stato formulato il contestatissimo quesito ( 13 parlamentari ne hanno preso le distanze definendolo «mistificante») racconta la stessa spaccatura: «è stato lui» si è infatti premurato di precisare Casaleggio Jr puntando l'indice contro il capo politico M5s.
Sullo sfondo c'è infatti la battaglia, durissima, tra gli eletti e il figlio del fondatore sulla gestione della piattaforma. Che, invece, si sta riprendendo sempre più spazio. Non solo la maggior parte dei post pubblicati sul blog delle Stelle vede ormai quasi unicamente la firma di Rousseau, ma è proprio la piattaforma che in queste settimane si sta dando da fare per riorganizzare i territori, federare gli attivisti, organizzarli in sedi digitali. Un lavoro capillare che il M5s ha da tempo lasciato da parte. Ma che potrebbe essere la chiave per la rifondazione di un movimento ispirato da Di Battista. Questa spaccatura è inoltre sempre più evidente in Parlamento: la pattuglia di «dissidenti» dall'ala governativa, è ormai uscita palesemente allo scoperto e si conta. Guardano a Dibba, a Barbara Lezzi, a Danilo Toninelli, alcuni annunciano senza timori che voteranno No alla fiducia a Draghi. Addirittura c'è stato chi, ad urne ancora aperte, profetizzava una possibile scissione al contrario, quella dei «governisti» in caso di vittoria dei No. Forse, della cinquantina circa di «dissidenti» solo in pochi arriveranno a non votare la fiducia, avendo dichiarato di voler rispettare la volontà degli iscritti. Ma l'addio di Dibba al Movimento, potrebbe di nuovo cambiare le carte in tavola.
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