La cooperante bresciana uscita da Gaza: «Morti e feriti lasciati al loro destino»
La sala del centro sociale di Chiesanuova è ricolma di persone, tutte raccolte per ascoltare la testimonianza di Giuditta Brattini, la cooperante di stanza nel Veronese ma di origini bresciane dell’associazione Gazzella Onlus e collaboratrice di Fonti di Pace, che a inizio mese ha fatto rientro dalla Palestina dopo essere riuscita ad uscire dalla Striscia di Gaza.
Uomini e donne, giovani e anziani, diversi con la kefiah sulle spalle, quel telo utilizzato come copricapo tradizionale e che è diventato il simbolo del popolo palestinese. Giuditta è stata invitata dalle associazioni Amicizia Italia-Palestina e Giovani Palestinesi d’Italia, con l’organizzazione di Radio Onda d’Urto: «Crediamo di aver portato in strada a solidarizzare con il popolo palestinese che subisce l’occupazione almeno 15mila persone in sei incontri - spiega dal palco Umberto Gobbi, portavoce di Onda d’Urto -. Crediamo che si sia mobilitata una consistente fetta della società bresciana e sabato protesteremo in maniera netta contro i bombardamenti sugli ospedali; chiediamo quindi a medici e infermieri di partecipare indossando i loro camici».
Le foto dell’orrore
La Brattini inizia la sua testimonianza proprio dagli ospedali: lo fa mostrando le foto di tre bimbi nati prematuri insieme nella stessa incubatrice, di ragazzi con il volto bruciato dalle esplosioni, dei corpi di bambini stesi sul pavimento, alcuni soccorsi alla bell’è meglio, altri ormai cadaveri. «I palestinesi oggi vivono negli ospedali perché credono siano luoghi sicuri. Ma gli israeliani continuano a bombardare, non rispettando la Convenzione di Ginevra». In questi giorni è l’al-Shifa, il più grande nosocomio di Gaza City, ad essere osservato speciale da parte degli israeliani: manca il gasolio per i generatori di corrente, manca il cibo, e anche i contatti con le équipe mediche che lì operano iniziano a farsi sempre più rari.
La Brattini ha raccontato la sua esperienza nei campi dove vengono accolti i palestinesi in fuga: sistemazioni di fortuna, per lo più in stanze condivise senza distinzione di sesso e di età, condizioni igieniche pessime, oltre il limite. «Si parla di Israele come dell’unico Stato democratico del Medio Oriente - continua - ma quello che sta facendo nella Striscia di Gaza, le 30mila tonnellate di missili lanciati in poco più di un mese, sono un bombardamento atomico a rate, che avrà conseguenze anche sull’ambiente, sul sottosuolo, sull’inquinamento. Le persone soffrono ormai di incubi, di insonnia, hanno difficoltà ad esprimersi: sono traumi di guerra, se di guerra si può parlare, tra uno degli Stati meglio armati al mondo che si scontra con gruppi di milizie organizzate».
«Un solo Stato e diritti per tutti»
Al conflitto, la Brattini non vede una soluzione celere, e una sola prospettiva: «Impensabile oggi pensare a due Stati, ma ad uno Stato solo dove ci siano diritti uguali per tutti. Anche la comunità internazionale deve mobilitarsi: quando la Russia ha occupato l'Ucraina sono arrivate subito le sanzioni, Israele è da sempre impunito. E mentre noi parliamo, c’è della gente che muore. I morti sono per strada, nessuno può intervenire per salvare i feriti ai quali i cecchini sparano alle gambe. E i cani mangiano i loro corpi».
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