«L'aumento dei tamponi è la strada giusta». Già, ma come?
«L'aumento del numero dei tamponi è la giusta strada da seguire». Lo ha detto in collegamento via web in diretta a «Petrolio» rispondendo a Duilio Giammaria il viceministro alla salute Pierpaolo Sileri.
«Lo ribadisco da giorni: i tamponi, o comunque i test diagnostici per individuare i positivi vanno fatti su tutte le persone esposte e/o venute a diretto contatto con una persona colpita dal virus. I nostri sanitari, medici, infermieri e volontari, che rappresentano la nostra più importante difesa dal contagio, devono essere protetti, anche perché garantiscono il buon funzionamento del sistema sanitario e a loro devono essere rivolti screening anamnestici (per verificare che all'inizio e alla fine del turno di lavoro non siano insorti dei sintomi). E nel caso in cui si individui un positivo tra di loro, devono essere sottoposti a screening sanitario i contatti di questi».
L’indicazione del viceministro segue la circolare del Ministero datata 3 aprile in cui si apriva ai test rapidi per individuare la diffusione del contagio in Italia. Un documento che però non risolve il problema, visto che quella dei tamponi è un’emergenza nell’emergenza.
In Italia ne sono stati fatti 619mila, circa 29mila al giorno. Per quanto riguarda la Lombardia, nell’ultima settimana la media è di 5.600 tamponi giornalieri, con alcuni scostamenti significativi verso l’alto (il 27 marzo erano oltre ottomila) o verso il basso (il 31 marzo erano 3.583). A livello regionale il dato complessivo è di 141mila. A questi test, lo ricordiamo, le persone vengono sottoposte più volte, in particolar modo per confermare la negativizzazione o per verificare un eventuale esito incerto. La tendenza sembra ora essersi stabilizzata, da quel che è emerso finora all’aumento dei tamponi corrisponde un aumento dei casi positivi riscontrati. Il che dimostra l’importanza dei controlli per capire quante persone sono davvero infette: sappiamo che a Brescia, a dispetto dei 9.180 casi riportati ieri, la stima è di circa 190mila positivi.
È stato paragonato più volte il caso lombardo a quanto accade in Veneto, dove vivono 4,9 milioni di persone e sono stati fatti finora 125mila tamponi, un dato percentualmente più alto. La strategia adottata dall’amministrazione Zaia è di estendere il più possibile i test tra la popolazione, accertando il maggior numero di casi per poi isolare i positivi.
I limiti evidenziati in Lombardia per superare la soglia massima di cinque/seimila tamponi giornalieri, ribadita più volte dalla Regione, sono sostanzialmente due. Da un lato, ci sono 25 laboratori accreditati, a cui se ne aggiungeranno altri sei nei prossimi giorni. Come ha raccontato Antonio Lavazza, dirigente della virologia allo Zooprofilattico di Brescia, il personale sta già lavorando al massimo delle possibilità: «Bisogna considerare che nel laboratorio a contatto con le provette si può stare al massimo cinque ore e in quel lasso di tempo chi ci lavora non può bere, mangiare e andare in bagno». Anche immaginando di aumentare gli operatori, il numero di macchinari disponibili è comunque contingentato in ciascun laboratorio. L’altro problema è legato al reagente utilizzato per analizzare i test: sempre allo Zooprofilattico ne hanno lamentato la carenza, un fattore che inevitabilmente rallenta le operazioni. Senza contare che mancano anche i dispositivi di protezione individuale.
Per aumentare il numero dei controlli è dunque fondamentale accrescere la capacità di analisi, un’operazione che richiede tempo visto che servono «strumentazione validata e personale formato/qualificato per eseguire protocolli di estrazione del genoma virale», si legge nella circolare ministeriale del 3 aprile, in cui si sottolinea la necessità di questi test. «L’esecuzione dei test va assicurata agli operatori sanitari e assimilati a maggior rischio, sulla base di una sua definizione operata dalle aziende sanitarie, tenute ad effettuarla quali datori di lavoro», dicono dal Ministero. E ancora: «L'esecuzione del test diagnostico va riservata prioritariamente ai casi clinici sintomatici/paucisintomatici e ai contatti a rischio familiari e/o residenziali sintomatici, focalizzando l’identificazione dei contatti a rischio nelle 48 ore precedenti all’inizio della sintomatologia del caso positivo o clinicamente sospetto». Il che potrebbe fare pensare a un’estensione dei tamponi anche a chi non è ricoverato in ospedale: in Lombardia sono stati finora esclusi dai test i malati rimasti a casa e i loro familiari, nonostante l’indicazione del governatore Fontana di eseguirli «anche in presenza di un solo sintomo».
C’è però il problema legato ai carichi di lavoro nelle strutture di analisi e la circolare ministeriale a questo riguardo è chiara: «In caso di necessità, ad esempio per accumularsi di campioni da analizzare con ritardi nella risposta, carenza di reagenti, impossibilità di stoccaggio dei campioni in modo sicuro, sovraccarico lavorativo del personale di laboratorio, si raccomanda di applicare, nell’effettuazione dei test diagnostici, i criteri di priorità di seguito riportati, raccomandati dall'Oms e dalla Eucomm e adattati alla situazione italiana: pazienti ospedalizzati; tutti i casi di infezione respiratoria acuta ospedalizzati o ricoverati nelle residenze sanitarie assistenziali e nelle altre strutture di lunga degenza; operatori sanitari esposti a maggior rischio (compreso il personale dei servizi di soccorso ed emergenza, il personale ausiliario e i tecnici verificatori); operatori dei servizi pubblici essenziali sintomatici, anche affetti da lieve sintomatologia; operatori, anche asintomatici, delle RSA e altre strutture residenziali per anziani; persone a rischio di sviluppare una forma severa della malattia e fragili, primi individui sintomatici all’interno di comunità chiuse».
Considerato come la possibilità di fare i tamponi sia al limite in Lombardia, la regione più colpita da contagi e decessi, la lista delle priorità sembra escludere a breve l'ipotesi di un’estensione dei tamponi anche a chi è a casa - l’Ats di Brescia era stata chiara a riguardo: al momento non si fanno -, nonostante le richieste di diverse istituzioni e anche dei medici che si occupano di coronavirus vadano in questa direzione.
Per sbloccare la situazione il Ministero, in attesa di avere maggiori certezze in merito ai test sierologici, apre anche ai test condotti in automobile: «Andrà valutata la possibilità di ampliare ulteriormente il numero di laboratori aggiuntivi identificati dalle Regioni/Pa e coordinati dai laboratori di riferimento regionali, considerando la possibilità di utilizzare laboratori mobili o drive-in clinics, consistenti in strutture per il prelievo di campioni attraverso il finestrino aperto dell’automobile su cui permane il paziente». L'applicabilità di tutto ciò è comunque legata alle risorse economiche, tecniche e di personale. «Faremo i test rapidi anche con il prelievo in macchina», ha tenuto a ribadire ancora oggi il ministro della Salute, Roberto Speranza. Resta da capire come si muoverà la Lombardia: in Campania, Emilia Romagna e Toscana questi laboratori sono già attivi, seguendo l'esempio della Germania o della Corea del Sud. Come ha dichiarato ieri Massimo Galli, primario di Malattie Infettive dell'Ospedale Sacco di Milano: «In Lombardia siamo con un numero di persone che effettivamente hanno avuto l'infezione dalle cinque alle dieci volte superiore a quelle che sono state registrate». E ancora: «I numeri dipendono dalle persone che si raggiungono e dai tamponi che si fanno, che pur non essendo pochi sono probabilmente assai meno di quanto sarebbe necessario o comunque opportuno. Quindi in realtà abbiamo dei dati che solo in parte rappresentano il vero numero delle persone che hanno avuto o che hanno tuttora l'infezione e stanno chiuse in casa».
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