Il valore Rt non è un numero magico
«Il valore di Rt è stato trasformato in un numero magico su cui fare classifiche, previsioni e addirittura prendere decisioni politiche regionali», ma in realtà «rappresenta un parametro impreciso, non tempestivo, condizionato dalla qualità dei dati e dal numero di tamponi eseguiti».
A mettere in guardia è un'analisi della Fondazione Gimbe su uno dei 21 indicatori di monitoraggio della Fase 2 dell'emergenza coronavirus previsti dal decreto del ministero della Salute. Il valore R0 (erre con zero), afferma il presidente Gimbe Nino Cartabellotta, «rimane una pietra miliare dell'epidemiologia per stimare il grado di contagiosità del virus all'inizio di una epidemia»: misura la potenziale contagiosità di un virus quando ancora tutta la popolazione è suscettibile al contagio, data l'assenza di immunità. L'Rt (erre con t) è, invece, «una misura dinamica che, nel corso dell'epidemia, si riduce in proporzione alla diminuzione dei soggetti suscettibili, ma può risalire per il riaccendersi di focolai».
Quest'ultimo, prosegue Cartabellotta, «è diventato oggetto di dibattito con inopportune classifiche tra le Regioni che, in relazione alle variazioni settimanali, lo trasformano da vessillo da sbandierare a pomo della discordia». Il suo ruolo va però «ridimensionato». Questo valore, infatti, «può essere stimato correttamente solo con un ritardo di 15 giorni, la stima può essere poco accurata in conseguenza di cambiamenti nei criteri di esecuzione dei tamponi».
Inoltre, «viene calcolato solo sul 30% dei casi riportati alla Protezione Civile per la necessità di allinearsi alle Regioni con la percentuale più bassa di dati disponibili». In sostanza, conclude Cartabellotta, è «poco affidabile nella fase di monitoraggio post lockdown e bisogna evitare di utilizzarlo come parametro univoco e soprattutto per elaborare classifiche». Uno degli aspetti su cui concentrarsi, ha evidenziato la Fondazione Gimbe nei giorni scorsi, sono i tamponi: ne vengono fatti ancora troppo pochi, soprattutto in Lombardia. Solo aumentandone il numero si potrà avere un quadro più completo dell'andamento del contagio.
L’Rt, oltre a essere uno dei valori di riferimento della Fase 2, è tornato al centro dell’attenzione nei giorni scorsi per via di un video in cui l’assessore regionale al Welfare della Lombardia, Giulio Gallera, ha provato a spiegare in modo semplice l'andamento e il significato di questo indice. «L'indice Rt a 0,51 vuole dire che per infettare me bisogna trovare due persone nello stesso momento infette.... Questo vuol dire che non è cosi semplice trovare due persone infette nello stesso momento per infettare me», ha dichiarato, confondendo un dato statistico con la dinamica concreta del contagio. In realtà, è sufficiente incontrare da vicino una persona con il Covid 19 per contagiarsi. L'Rt è un dato statistico che indica le possibilità che l'infezione passi da una persona all'altra dopo l’applicazione delle misure di contenimento dell’epidemia: se è allo 0,5, significa che un malato è in grado di trasmetterlo a meno di una persona, ma non vuol dire che servano due contagiati per infettarne una.
Essendo calcolato sulla base del differenziale dei nuovi casi avvenuti nei giorni precedenti, «anche piccole oscillazioni nei numeri, dovute verosimilmente ad un aumento dei tamponi eseguiti, possono comportare variazioni in singoli parametri particolarmente sensibili quali appunto l’Rt», scrive a questo proposito l’Iss. «In particolare, quando il numero di casi è molto piccolo, alcune regioni possono andare temporaneamente sopra soglia (Rt maggiore di 1) a causa di piccoli focolai locali che finiscono per incidere sul totale regionale, senza che questo rappresenti un elemento preoccupante». Per questi motivi l'indice non va considerato come una pagella, sottolinea sempre l'Istituto superiore di sanità, e nemmeno come un numero magico, per dirla con le parole di Cartabellotta. Di certo, anche volendo semplificare, non descrive in maniera concreta il modo in cui il virus passa da una persona all'altra.
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