Il Papa in Iraq: «Tacciano le armi, salda l'amicizia tra fedi»
Non l'aveva mai fatto ma ieri Papa Francesco ha accettato di salire su un'auto blindata. «Una Bmw 750, un'auto di sicurezza speciale a prova anti-proiettile», hanno riferito fonti della sicurezza irachena che dal momento dell'arrivo hanno stretto intorno al Papa un imponente «cordone» protettivo. La strada che dall'aeroporto conduce prima alla Green Zone e poi verso il centro di Baghdad è una lingua d'asfalto solitaria, puntellata dalle palme e dai militari. Un posto di blocco, tra polizia ed esercito, ogni cento metri.
Sulla via anche carri armati, in cielo elicotteri militari e droni. Il Papa, primo Pontefice della storia a mettere piede in questa terra così «martoriata», come lui stesso ha sottolineato, conosceva la situazione ma mai si è preoccupato della sicurezza. Né quando un kamikaze, il 21 gennaio, solo un mese e mezzo fa, si è fatto esplodere al mercato di piazza Tayaran, proprio al centro di Baghdad, provocando la morte di una trentina di persone. Né quando i missili in queste ultime settimane hanno colpito le basi Usa, prima al Nord e poi a Ovest del Paese.
In Iraq il Papa era atteso almeno da 21 anni, quando Giovanni Paolo II cancellò la visita a causa della guerra. E a rendere storica la visita, dopo l'incontro con i giovani di Scholas di ieri con l'inaugurazione della scuola di sport e pace, è stato l'appello lanciato per la fine delle violenze:
«Tacciano le armi! Se ne limiti la diffusione, qui e ovunque! Cessino gli interessi di parte, quegli interessi esterni che si disinteressano della popolazione locale. Si dia voce ai costruttori, agli artigiani della pace! Ai piccoli, ai poveri, alla gente semplice, che vuole vivere, lavorare, pregare in pace. Basta violenze, estremismi, fazioni, intolleranze!», ha detto il Papa sottolineando come «negli scorsi decenni, l'Iraq ha patito i disastri delle guerre, il flagello del terrorismo e conflitti settari spesso basati su un fondamentalismo che non può accettare la pacifica coesistenza di vari gruppi etnici e religiosi, di idee e culture diverse. Tutto ciò ha portato morte, distruzione, macerie tuttora visibili, e non solo a livello materiale: i danni sono ancora più profondi se si pensa alle ferite dei cuori di tante persone e comunità, che avranno bisogno di anni per guarire».
Ma Papa Francesco si è rivolto, senza giri di parole, anche alla comunità internazionale affinché svolga un ruolo di pacificazione in Iraq e nel Medio Oriente ma «senza imporre interessi politici o ideologici». «Anche la comunità internazionale ha un ruolo decisivo da svolgere nella promozione della pace in questa terra e in tutto il Medio Oriente». «Auspico che le nazioni non ritirino dal popolo iracheno la mano tesa dell'amicizia e dell'impegno costruttivo, ma continuino a operare in spirito di comune responsabilità con le autorità locali, senza imporre interessi politici o ideologici».
Poi la richiesta di «pieni diritti, libertà, responsabilità» e «partecipazione alla vita pubblica» per i cristiani e le altre minoranze religiose in Iraq perché questo potrà aiutare il Paese a crescere e prosperare. Tra le minoranze Francesco ha nel cuore quel piccolo popolo perseguitato da sempre: «Tra i tanti che hanno sofferto, non posso non ricordare gli yazidi, vittime innocenti di insensata e disumana barbarie, perseguitati e uccisi a motivo della loro appartenenza religiosa, e la cui stessa identità e sopravvivenza è stata messa a rischio».
Non meno storico il confronto di quest'oggi a Najaf con il Grande Ayatollah Sayyid Ali Al-Husayni Al-Sistani. Durante la visita, durata circa 45 minuti, il Papa ha sottolineato «l'importanza della collaborazione e dell'amicizia fra le comunità religiose perché, coltivando il rispetto reciproco e il dialogo, si possa contribuire al bene dell' Iraq, della regione e dell'intera umanità». Lo riferisce il direttore della sala stampa vaticana Matteo Bruni aggiungendo che «l'incontro è stata l'occasione per il Papa di ringraziare il Grande Ayatollah Al-Sistani perché, assieme alla comunità sciita, di fronte alla violenza e alle grandi difficoltà degli anni scorsi, ha levato la sua voce in difesa dei più deboli e perseguitati, affermando la sacralità della vita umana e l'importanza dell'unità del popolo iracheno».
Nel congedarsi dal Grande Ayatollah, il Papa «ha ribadito la sua preghiera a Dio, Creatore di tutti, per un futuro di pace e di fraternità per l'amata terra irachena, per il Medio Oriente e per il mondo intero», conclude Bruni.
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