Gran Bretagna, perché Boris Johnson non vuole restrizioni
L'impennata dei contagi Covid-19 nel Regno Unito non ha ancora convinto il governo britannico a mettere in soffitta il liberi tutti del 19 luglio. Niente piano B, al momento, per Boris Johnson, che preferisce rafforzare la campagna vaccinale piuttosto che ripristinare restrizioni e chiusure, perché costerebbero all'economia 18 miliardi di euro. Forse un azzardo, nella misura in cui la pandemia è tornata a rialzare la testa in Europa, soprattutto a est, dalla Russia ai Paesi baltici, dall'Ucraina alla Romania.
Dopo due giorni di pausa il Regno Unito ha ripreso a viaggiare ad oltre 40mila nuovi contagi al giorno, ma il trend settimanale si conferma in leggero calo per la prima volta da un mese ed i ricoveri sono rimasti sotto il livello di guardia. Abbastanza, per Downing Street, per non cedere alle pressioni dei media e degli esperti che sollecitano un giro di vite sui contatti sociali.
Johnson si sarebbe convinto dopo aver letto un documento del Tesoro, che indica in ben 18 miliardi di sterline il costo potenziale per l'economia di un ripristino delle restrizioni. A partire da una qualche forma di Green Pass o un ritorno a vasto raggio allo smart working. Di qui la scelta del premier di insistere sul piano A: rilancio dei vaccini per contenere ricoveri e decessi attraverso l'accelerazione della terza dose a tutti i vulnerabili e agli over 50 e della dose unica per i ragazzi fra i 12 e i 15 anni.
La pandemia nell'Europa orientale
L'emergenza britannica è una delle spie di questo ennesimo rimbalzo della pandemia in Europa, dove nell'ultima settimana sono stati registrati quasi un milione e 700mila nuovi casi, il 18% in più della settimana precedente. E una media di 3.100 decessi giornalieri, il 16% in più, dei quali oltre un terzo in Europa orientale, tra Russia (1.051 decessi in media ogni giorno), Ucraina (485) e Romania (420). A pesare sono soprattutto il basso numero di vaccinati e le scarsissime restrizioni. Tanto che nella capitale russa le autorità si sono convinte a chiudere scuole, uffici, negozi e fabbriche dal 28 ottobre, per almeno una settimana. Le cose non vanno meglio in Ucraina, dove è stato raggiunto il picco quotidiano dei decessi, 743. Record di morti e contagi anche in Bulgaria, ormai in piena quarta ondata: è il Paese meno vaccinato dell'Ue. Lo stesso vale per la Romania, che tra i vaccinati è al penultimo posto. A Bucarest il governo ha parlato di «catastrofe», annunciando il ripristino di dure restrizioni, a partire dal coprifuoco. Situazione molto critica anche in Serbia, dove verrà richiesto il pass vaccinale in bar e ristoranti la sera.
La situazione nei Paesi baltici
La pandemia che soffia da est non risparmia i Paesi baltici, soprattutto per i bassi tassi di vaccinazione. La Lettonia è stata la prima in Europa a reintrodurre un nuovo lockdown almeno fino al 15 novembre. In Estonia e Lituania si viaggia con tassi di crescita dei contagi da oltre mille casi ogni 100mila abitanti.
Le cose vanno meglio dove la campagna vaccinale è completata
Laddove invece la campagna vaccinale è quasi completata, ed il Green pass è diventato uno strumento quasi indispensabile, così come le mascherine, la pandemia rimane contenuta. È il caso, ad esempio, di Italia, Francia, Spagna e Germania. Il Portogallo, con il più alto tasso di immunizzati al mondo, quasi l'87% (e la copertura di tutti gli over 65), registra pochissimi nuovi contagi, decessi e ricoveri in terapia intensiva.
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