Facebook è nei guai
Ora Facebook trema. E stavolta a vacillare è il suo fondatore Mark Zuckerberg, mai come questa volta nell'occhio del ciclone.
Da Washington a Londra tutti chiedono chiarezza su quello che si sta delineando come un vero e proprio datagate. E protesta anche l'Unione europea, definendo quanto accaduto «inaccettabile».
Le ripercussioni in Borsa non si fanno attendere, e sono un inequivocabile segnale del terremoto che sta scuotendo il gigante dei social media: dopo le rivelazioni del Guardian e del New York Times il titolo è arrivato a perdere oltre il 7%, mai così male dal 2012, trascinando in basso Wall Street.
La tensione nel quartier generale di Menlo Park, nel cuore della Silicon Valley, si taglia con il coltello. L'accusa è grave, ed è quella di aver ignorato o, ancor peggio, di aver tenuto all'oscuro gli utenti su quanto accaduto: le informazioni su oltre 50 milioni di persone raccolte attraverso un’app da una società di ricerche - la Global Science Research (Gsr) - e vendute alla controversa Cambridge Analytica, azienda che ha lavorato per la campagna di Donald Trump.
Non solo: quelle informazioni sarebbero state usate anche per influenzare il voto sulla Brexit. Le autorità britanniche hanno già chiesto un mandato di perquisizione della Cambridge Analytica, accusandola di non collaborare. L’obiettivo è quello di scandagliare anche i server della società.
Intanto la polemica sul ruolo politico di Facebook fa un salto di qualità enorme, e stavolta rischia di travolgere il gioiello fondato da Zuckerberg che conta nel mondo oltre due miliardi di utenti. La spiegazione ufficiale è che l'autorizzazione per raccogliere dati attraverso l'app «thisisyourdigitallife» era stata data per scopi accademici. E che quando è stata scoperta la vendita delle informazioni alla Cambridge Analytica sia questa che la Gsr sono state radiate dal social network. Ma a smentire tale versione c'è Aleksandr Kogan, l'accademico che in prima persona ha gestito la raccolta dei dati: «Non sono una spia russa e sono pronto a parlare con l'Fbi e davanti al Congresso americano o al parlamento britannico. E non abbiamo mai detto che il nostro progetto era finalizzato ad una ricerca universitaria».
Cresce ancor di più dunque la pressione su Zuckerberg, a cui viene chiesto di spiegare ufficialmente e davanti alle sedi istituzionali la dinamica di quanto accaduto. Anche perchè - rivela il Guardian - Joseph Chancellor, il cofondatore della Gsr insieme a Kogan, è attualmente un dipendente di Facebook: lavora come psicologo e ricercatore nella sede centrale di Menlo Park e fu assunto nel 2015, quando già la vendita definita «illegale» dei dati a Cambridge Analytica era avvenuta. Un altro aspetto che potrebbe rivelarsi alquanto imbarazzante per il colosso dei social media.
Su quest'ultimo intanto si scaglia anche l'ira di Bruxelles: «Il cattivo uso per fini politici di dati personali appartenenti agli utenti di Facebook, se confermato, è inaccettabile, spaventoso», ha detto la commissaria Ue alla giustizia Vera Jourova, appena arrivata negli Usa dove incontrerà i responsabili della società di Zuckerberg e rappresentanti dell'amministrazione Trump.
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