Due anni fa l’alba tremante di Amatrice
Che colore ha un’alba tremante con duecento morti, un paese di macerie, centinaia di persone vaganti nel buio al primo chiaro del giorno? Prime immagini. «Si sentiva ancora qualche cane abbaiare, là in fondo grida soffocate. Mi veniva incontro una donna con la polvere al posto degli occhi e un grembiule nero diventato cenere».
L’alba aveva il colore di quella donna anziana, cenere con gli occhi di polvere. Giuseppe Offida, un anziano ricoverato nel punto alto della scuola di Amatrice, alle Elementari diventate centro del soccorso, un pugno d’ore dopo il terremoto, ci raccontava, con lo sguardo fisso sulla porta del sindaco, come se si aprisse per contemplazione, la tragedia appena accaduta. Tobler, il fotoreporter di New Eden Group aggiornava sui morti: «Sono centocinquanta riconosciuti. Si teme siano molti di più». Alla sera erano duecento, elenco aperto, Amatrice blindata in una zona rossa, la notte in arrivo temuta, il nemico sulle montagne intorno al paese: il terremoto, nemico di sempre, dicevano i più anziani, sarebbe andato e venuto per mesi con assalti alla baionetta, allo stesso modo che in guerra.
Da due anni fa a oggi, le scie sismiche hanno scritto sulle pietre di quelle montagne d’Abruzzo, delle Marche dell’Umbria e del Lazio, 130mila scosse. Un’eternità di intimidazioni, un’eternità di coraggio.
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