Dalla Camera arriva la fiducia al governo Draghi
Via libera dall'Aula della Camera alla fiducia al Governo Draghi. I voti favorevoli sono stati 535, i contrari 56 e gli astenuti 5. Erano presenti 596 deputati, di cui 591 votanti. Si è così concluso, dopo il via libera di ieri da parte del Senato, l'iter parlamentare della fiducia al nuovo esecutivo.
Il governo di Mario Draghi ha la fiducia del Parlamento italiano, ma non supera la quota record del governo Monti che nel 2011 a Montecitorio toccò la vetta storica dei 556 voti favorevoli. Resta sotto anche al quarto governo Andreotti, che nel 1978 totalizzò 545 sì, mentre supera il governo di Enrico Letta che si fermò a 453. Rispetto al primo esecutivo Conte, che nel 2018 ebbe 350 sì, quello di Draghi vanta 185 consensi in più. Lo scarto con il Conte bis (votato positivamente da 343 deputati) è oggi di 192 voti in più.
La maggioranza su cui si fonda l'esecutivo Draghi (M5S, Lega, Pd, FI, Iv, LeU e minoranze linguistiche) conta attualmente su 583 seggi, ma già alla prima prova non sono mancate defezioni, tra voti contrari e astensioni. Prima del voto avevano annunciato il proprio no una decina di deputati M5S e tre avevano indicato la scelta dell'astensione o della non partecipazione al voto. Nel corso della votazione un breve applauso registrato dall'assemblea ha sottolineato l'astensione di Alessio Villarosa, sottosegretario pentastellato all'Economia nei due esecutivi Conte. Da un altro settore della maggioranza, LeU, aveva preannunciato il suo voto contrario Nicola Fratoianni, mentre dalla Lega si è registrato il passaggio al gruppo FdI con conseguente no del deputato Gianluca Vinci.
Un inizio che avvia una fine. La definitiva fiducia record del Parlamento al governo Draghi segna contemporaneamente l'avvio di un processo di metamorfosi politica e in particolare degli assetti interni dei partiti. A cominciare dal Movimento 5 Stelle, nel pieno dei terremoti in corso nei gruppi parlamentari e del marasma di espulsioni e scissioni. Mentre il Pd, assieme ai grillini e Liberi ed Uguali, è tormentato da una sorta di sindrome del governo ombra, o fantasma, che aleggia attorno al convitato di pietra Giuseppe Conte.
La centrifuga politica del nuovo esecutivo lambisce anche la Lega, con Matteo Salvini impegnato a digerire l'irreversibilità dell'euro e l'Europa uber alles conclamati da Draghi e a fronteggiare i mal di pancia dei nostalgici dei raduni di Pontida. Per Forza Italia, il liberi tutti alla ricerca di un collegio sicuro verso Renzi, la Lega o Fratelli d'Italia, sembra invece soltanto una questione di tempo.
Al riparo sulla montagna solitaria dell'opposizione dallo tsunami che investe le altre forze politiche, Giorgia Meloni e Fratelli d'Italia, in attesa di fare il pieno di voti del centrodestra alle politiche, si apprestano a tesaurizzare la contrapposizione parlamentare con le presidenze della Commissione di Vigilanza della Rai e del Copasir, la commissione parlamentare sui servizi di sicurezza, che dal leghista Raffaele Volpi probabilmente passerà all'attuale vice Presidente Adolfo Urso.
Al premier sono bastati 13 minuti di replica a Montecitorio per catalizzare applausi e consensi e per sottolineare come «lo sguardo al futuro caratterizzerà il governo».
Per la ripartenza delle piccole e medie imprese, ha affermato Draghi: «bisognerà sostenere l'internazionalizzazione, potenziare il credito imposta per investimenti in ricerca e sviluppo nel Mezzogiorno e estendere il piano di industria 4.0 ed intervenire per migliorare la giustizia civile e penale assicurando - ha aggiunto - un processo giusto e di durata ragionevole in linea con la durata degli altri Paesi europei». Con in primo piano la lotta alla corruzione e alle mafie.
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