Italia e Estero

Da turista a sfollata: il diario da Miami aspettando Irma

Francesca Marmaglio è in vacanza a Miami, ma si è trovata nel pieno dell'emergenza legata all'arrivo dell'uragano
La palestra della scuola Reagan usata come centro di emergenza - Foto Francesca Marmaglio
La palestra della scuola Reagan usata come centro di emergenza - Foto Francesca Marmaglio
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Avete presente quando un rumore è così assordante da diventare silenzio? No? Nemmeno io, fino a ieri. Nella palestra della scuola Reagan siamo più di 700 persone, le altre centinaia sono sistemate fra corridoi e sala mensa. Le voci creano un frastuono quasi gradevole. Hanno il sapore della vita. Le risate dei bambini, le chiacchierate dei fidanzati, i discorsi seri delle persone anziane. E quando si avvicina la sera, tutte quelle parole, fanno ormai parte di te. Solo per questo è possibile riuscire ad addormentarsi.


Sono le 22.10 a Miami, in Italia l'alba è pronta a sbocciare. Qua ci si prepara all'uragano Irma. La preoccupazione c'è: «Ho paura di non ritrovare la mia casa», mi confessa Maria, una signora residente in un quartiere vicino all'aeroporto. Parla spagnolo, ma anche italiano. Provo a mettermi nei suoi panni, ma non ce la faccio. Per me è già tanto riuscire a convincermi di essere davvero sdraiata sul pavimento di una scuola americana, chiusa per il pericolo di un uragano. Nonostante la paura, però, non c'è stata una persona, uomo, donna, bambino, anziano, che non abbia ricambiato un mio sorriso. 

«For you», mi dice un signore porgendomi una busta trasparente, mentre sono seduta in corridoio per caricare lo smartphone. Lo ringrazio e apro il pacchetto. È una brioche. Profuma di cannella. La divido con la mia amica Francesca. È buona, come è buono l'animo della maggior parte delle persone che condividono con me quest'esperienza.


Nel pomeriggio, infatti, vedevo alcuni soldati con il classico bicchiere di caffè americano in mano. «Oh, il caffè...», dico a Francesca, con la speranza di materializzarne uno fra le mie mani. Gabriel, il militare che la mattina aveva provato a tranquillizzarmi, mi sente, mi guarda e mi cede il suo bicchiere. «Gracias» gli dico mettendo in mostra un sorriso spontaneo e al tempo stesso imbarazzato. Bevo. E penso che noi uomini siamo davvero capaci di amare, incondizionatamente, senza secondi fini. Anche solo con un caffè.

 

 

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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