Italia e Estero

Crisi di governo: i 6 scenari che potrebbero presentarsi

Ci sono diversi esiti istituzionali possibili: dalle dimissioni del premier al Quirinale fino al reincarico o la parlamentarizzazione
Il premier Giuseppe Conte durante la conferenza stampa di fine anno - Foto Ansa/Riccardo Antimiani © www.giornaledibrescia.it
Il premier Giuseppe Conte durante la conferenza stampa di fine anno - Foto Ansa/Riccardo Antimiani © www.giornaledibrescia.it
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La definizione politica «crisi di governo» può avere molteplici esiti istituzionali, dalle immediate dimissioni del Presidente del consiglio nelle mani del Presidente della Repubblica, alla parlamentarizzazione, che a sua volta può avvenire subito in una sorta di prova di forza, o successivamente dopo la ricomposizione della stessa crisi.

Ecco i possibili scenari che potrebbero presentarsi in caso il governo Conte entrasse effettivamente in crisi nei prossimi giorni.

Il premier al Quirinale
È quanto avvenuto sempre nella Prima Repubblica. Il capo del governo, constatato il venir meno della propria maggioranza, sale al Quirinale e rassegna le dimissioni. Il Quirinale apre le consultazioni per verificare se in Parlamento esista una maggioranza (la stessa o una diversa) che sostenga un nuovo governo (con lo stesso premier o con un altro). In caso negativo convoca i comizi elettorali.

Reincarico
È la prima variante allo scenario iniziale; dopo un breve giro di consultazioni il Presidente della Repubblica reincarica il premier uscente che dà avvio ad un nuovo esecutivo con un rimpasto rispetto a quello precedente. È quanto avvenne nel 2005 dopo la sconfitta del centrodestra alle Regionali e il venir meno dell'appoggio dell'Udc all'esecutivo: al Berlusconi II successe il Berlusconi III, con diverse caselle ministeriali modificate.

Rinvio alle Camere
Il primo scenario ha un’ulteriore variante: una volta al Quirinale il presidente del Consiglio è rinviato alle Camere. Questo consente al premier di tentare nei giorni successivi una ricucitura con la propria maggioranza sulla base di un nuovo programma ed eventualmente anche di un rimpasto. È quanto avvenne nell'ottobre 2007 col Governo Prodi che, dopo una iniziale rottura con Prc, riebbe la fiducia dalla medesima maggioranza su un programma rinnovato (le 35 ore) senza modificare la squadra.

Parlamentarizzazione parziale
In caso di rottura definitiva all'interno della maggioranza, il Presidente del consiglio si presenta alle Camere ma, dopo le proprie comunicazioni e la discussione, non attende il voto e annuncia di recarsi dimissionario al Quirinale. È avvenuto il 22 dicembre 1994, dopo la rottura della Lega di Bossi con il governo Berlusconi, e il 20 agosto 2019, dopo la rottura della Lega di Salvini con il governo Conte I.

Voto delle Camere
In una situazione di rottura, è il premier a voler drammatizzare la situazione con un voto delle Camere, per inchiodare il partito che ha dato vita alla crisi. È avvenuto due volte con i governi guidati da Romano Prodi (9 ottobre 1998 e 24 gennaio 2008) e una volta con il governo di Enrico Letta (11 dicembre 2014): entrambe gli esecutivi Prodi caddero, mentre quello Letta sopravvisse perché il partito che gli aveva inizialmente negato la fiducia, Fi, si spaccò.

Responsabili
È una variante dello scenario precedente: dopo una rottura, il governo cerca in Aula non una maggioranza politica alternativa a quella che si sta rompendo, bensì una maggioranza solo numerica. Tale maggioranza numerica si può costituire o puntando a sfilare qualche parlamentare al partito che ha determinato la crisi, o creando un gruppo di parlamentari anche di altri partiti che vogliono evitare il voto anticipato. Il caso più noto è quello del 14 dicembre 2010, dopo la rottura di Fini e Fli con il governo Berlusconi; questi si presentò in Aula dopo diverse settimane, durante le quali riuscì sia a convincere alcuni deputati di Fli sia a costituire il gruppo dei Responsabili (guidati da Scilipoti e Razzi).

 

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