Coronavirus, Boris Johnson esce dalla terapia intensiva
Boris Johnson non è più in terapia intensiva e il Regno Unito tira il fiato, seppure ancora schiacciato dalla cappa di un'epidemia che galoppa verso il picco e di un lockdown di cui per ora non si vede l'epilogo. Il primo ministro, finito in rianimazione lunedì dopo l'improvviso ricovero di domenica al St Thomas hospital di Londra dovuto all'aggravamento dei sintomi di contagio da coronavirus con cui era alle prese già da 10 giorni, ha potuto lasciare la rianimazione e tornare nel reparto ordinario dell'ospedale. L'annuncio è arrivato dal suo portavoce, dopo che - a partire da ieri - si erano andati consolidando una serie di segnali di miglioramento della sua salute.
Con le rassicurazioni di vari ministri - dal vicario Dominic Raab al cancelliere dello Scacchiere, Rishi Sunak - che il premier Tory era cosciente, che parlava con i medici, che aveva iniziato a sedersi sul letto e che - pur sottoposto a somministrazione di ossigeno - continuava a non aver bisogno dell'inquietante ventilazione meccanica. Fino alla svolta di questa serata. «Il Primo Ministro - ha fatto sapere il portavoce, pochi minuti prima che nel Regno esplodesse il rito ormai settimanale dell'applauso 'all'italianà indirizzato dai balconi e dalle finestre della case dell'isola ai medici, agli infermieri, agli operatori dei servizi di emergenza in prima fila contro il virus - è stato ritrasferito dalla terapia intensiva al reparto, dove seguiterà a essere attentamente monitorato in questa fase iniziale di ripresa».
Poi l'aggiornamento della frase usata come un amuleto anche nei momenti più difficili di questi 4 giorni e 3 notti trascorse da BoJo fra i malati più gravi: non più «il primo ministro è su di morale», bensì «il primo ministro è estremamente su di morale». Fra i più pronti a esultare, il presidente americano Donald Trump, che dall'altra parte dell'oceano ha subito twittato: «Grande notizia... Rimettiti Boris!».
La novità allontana di sicuro lo spettro dell'irreparabile per il 55enne capo del governo di Sua Maestà più effervescente che si ricordi. E il timore di un Paese decapitato nel pieno dell'emergenza globale forse più spaventosa del dopoguerra. Ma non significa ancora il ritorno al timone della nave per mister Brexit.
Ci vorranno sicuramente alcuni giorni per sorvegliarne il decorso, dopo i rischi corsi anche per aver voluto continuare a lavorare durante la fase dell'isolamento in un alloggio di Downing Street, malgrado febbre e tosse persistenti: quasi a voler imitare il suo modello Winston Churchill, rimasto in sella a dispetto di una polmonite durante il conflitto mondiale. Sollevato dalla speranza di una guarigione a questo punto più prevedibile, il suo governo, del resto, deve andare avanti per ora senza di lui, in un Paese nel quale anche oggi si sono contati quasi 900 morti per le conseguenze del Covid-19 e il numero dei contagi diagnosticati è salito a 65.000. Il facente funzioni Raab, ministro degli Esteri e Primo segretario di Stato, apparso oggi rinfrancato nella conferenza stampa di Downing Street nel ruolo di supplente, ha precisato di non aver ancora parlato con Boris e di volergli lasciare il tempo necessario per «per concentrarsi sulla guarigione». Frattanto faremo «uno sforzo di team» e «io ho tutta l'autorità che mi serve per prendere le decisioni necessarie», ha rimarcato. A cominciare dalla proroga del lockdown, in scadenza lunedì: proroga non ancora formalizzata, ma scontata, come lo stesso Raab ha lasciato capire dopo un meeting del comitato d'emergenza Cobra, osservando che «è troppo presto» per mollare la presa. Bisognerà attendere, ha spiegato, che il picco, atteso entro una settimana o poco più, sia non solo raggiunto, ma stabilmente superato. Come a dire che se ne riparlerà non prima di maggio, sperando intanto di riavere Boris Johnson a casa.
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