Com'è nata l'inchiesta della procura di Bergamo sulla pandemia
A tre anni di distanza dall’inizio della pandemia, ieri si è chiusa l’inchiesta sulla gestione del Covid a Bergamo con l’iscrizione di 19 persone nel registro degli indagati. Tra questi ci sono il presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana, l’ex assessore al Welfare Giulio Gallera, l’ex ministro della Salute Roberto Speranza e l’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte, oggi a capo del Movimento Cinque Stelle.
L'inchiesta sul Covid in provincia di Bergamo è stata avviata dalla Procura di Bergamo nell'aprile 2020 in seguito alle presunte anomalie nella gestione dei pazienti all'ospedale di Alzano Lombardo, dopo la scoperta dei primi casi positivi al SarsCov2. Scopo degli inquirenti era accertare se la mancata istituzione della zona rossa fosse stato uno dei fattori che ha contribuito alla diffusione del virus nel resto della Lombardia, investendo fra le prime province Brescia, e poi d’Italia.
A coordinare le indagini è stata il procuratore aggiunto Cristina Rota, affiancata da altri due pm, Silvia Marchina e Paolo Mandurino, e sotto la supervisione del Procuratore Antonio Chiappani.
La prima fase
Nel marzo del 2020 in provincia di Bergamo i morti registrati sono stati quasi 5.200 in più della media mensile degli anni precedenti, che si aggirava attorno agli 800 casi. Nelle rsa in due mesi si sono contati circa 1300 morti contro una media precedente di 600.
Tra i primi indagati per epidemia colposa ci sono stati l'ex dg del Welfare lombardo Luigi Cajazzo, l'allora suo vice Marco Salmoiraghi, la dirigente Aida Andreassi, oltre a Francesco Locati e Roberto Cosentina, il primo dg e il secondo ormai ex direttore sanitario dell'Asst Bergamo Est, questi ultimi due anche per falso.
La seconda fase
L'inchiesta si è poi ampliata dopo una serie di audizioni a Roma, tra cui quelle dell'ex premier Giuseppe Conte, dell'ex ministro della Salute Roberto Speranza e dei tecnici del ministero e del Cts, e di una serie di accertamenti che hanno riguardato la mancata istituzione di una zona rossa nei comuni di Nembro e Alzano Lombardo e la scoperta che il piano pandemico dell’Italia era del 2006, non era mai stato aggiornato né applicato malgrado le raccomandazioni dell'Oms.Poi sono seguite molte acquisizioni di documenti, circolari, chat estrapolate dai cellulari ed email tra cui una in cui, il 28 febbraio 2020, la Regione Lombardia chiedeva al presidente del Consiglio Conte di mantenere la zona gialla anche per la settimana dal 2 all'8 marzo, nonostante la situazione fosse già molto critica.
Riguardo al piano pandemico mai aggiornato né attuato, dall'inchiesta è emerso anche uno scontro tra il ricercatore dell'Oms Francesco Zambon e l'allora direttore vicario dell'organismo Ranieri Guerra, che è finito indagato per false dichiarazioni ai pm.
La consulenza di Crisanti
Ad allargare l'indagine a Conte, Speranza, al governatore lombardo Fontana, all'ex assessore Gallera e ai molti tecnici, si è aggiunta la maxi consulenza di Andrea Crisanti, microbiologo dell'Università di Padova. Crisanti ha confermato, attraverso una serie di dati, che le omissioni su cui la Procura stava lavorando sono state una sorta di acceleratore nella diffusione del virus che, quando fu diagnosticato il caso del Paziente 1, già circolava e aveva infettato un centinaio di persone nella Bergamasca.
«Non so sulla base di quali valutazioni il professore senatore Crisanti ha tratto le conclusioni che hanno portato a questa incriminazione» ha detto stamattina a Radio Anch'io il governatore Attilio Fontana. «Quando si tratta di emergenza pandemica - ha aggiunto - la competenza è esclusiva dello Stato secondo la Costituzione, non secondo me. E poi se avessi emesso l'ordinanza (per la zona rossa nel Bergamasco, ndr) con chi l'avrei fatta eseguire? Non ho a disposizione né l'esercito né i carabinieri».
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