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Chat «irregolari»: ancora scontri in procura sul caso Eni

Per Storari l'ex manager Armanna inquinò il caso e chiese a Isaak Eke «50 mila dollari». De Pasquale: procedura irregolare
Il pm Paolo Storari - Foto Ansa/Stefano Porta  © www.giornaledibrescia.it
Il pm Paolo Storari - Foto Ansa/Stefano Porta © www.giornaledibrescia.it
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Una sorta di guerra di posizione. È l'immagine che suscita lo scontro senza fine all'interno della Procura di Milano, rimasto sotto traccia per mesi ed esploso con le indagini della Procura di Brescia, prima sul caso degli ormai noti verbali di Piero Amara sulla loggia Ungheria e ora su presunte irregolarità da parte dei pm titolari del fascicolo Eni-Nigeria. Un processo che si è chiuso il 17 marzo con 15 assoluzioni ma con una vicenda intricata a cui si stanno interessando anche il pg della Cassazione e il Csm per i profili disciplinari.

Da una parte, ci sono le dichiarazioni ai pm di Brescia e i documenti portati dal pm Paolo Storari, titolare fino a qualche mese fa dell'inchiesta sul falso complotto Eni. Atti tra cui chat dell'ex manager del gruppo Vincenzo Armanna, grande accusatore nella vicenda nigeriana,che per il sostituto milanese avrebbero dovuto essere depositate nel processo a dimostrazione della volontà dell'ex dirigente di inquinarè il procedimento e di ricattare i vertici della compagnia petrolifera. Dall'altra parte, ci sono le valutazioni fatte dall'aggiunto Fabio De Pasquale e dal pm Sergio Spadaro, indagati per rifiuto di atti d'ufficio per non aver messo a disposizione delle difese e del Tribunale quelle carte trasmesse da Storari. E che hanno contestato la «legittimità procedurale» con cui quelle conversazioni sono state acquisite. Tra i documenti non depositati alle parti processuali, come spiegato ai pm bresciani da Storari, indagato per rivelazione di segreto d'ufficio per aver consegnato per «autotutela» a Piercamillo Davigo i verbali di Amara, c'è un messaggio con la richiesta da parte di Armanna a Isaak Eke di restituirgli «50 mila dollari». Soldi che l'ex dirigente licenziato da Eni, molto valorizzato dai pm del processo sul giacimento Opl245, avrebbe versato all'ex ufficiale della polizia nigeriana chiamato come teste, nel novembre 2019, per confermare le sue accuse (cosa che non fece) nel dibattimento. Inoltre, Storari, carte alla mano, ha riferito al procuratore Francesco Prete e al pm Donato Greco pure di altre chat alterate dall'ex dirigente - imputato in Eni-Nigeria ma anche indagato, come Amara, nell'inchiesta sul depistaggiò - per screditare non solo l'ad Claudio Descalzi, ma anche il capo del personale Claudio Granata. 

Agli atti dell'inchiesta bresciana ci sarebbero anche email inviate, tra fine 2020 e inizio 2021, da Storari ai vertici dell'ufficio. In una di queste il magistrato faceva notare l'inattendibilità di Armanna: per lui sentirlo ancora a verbale sarebbe stato solo dannoso per le indagini. Dal canto loro, De Pasquale e Spadaro in una «nota» inviata il 5 marzo al procuratore Francesco Greco e all'aggiunto Laura Pedio, altro titolare del fascicolo sul depistaggiò, hanno risposto con una serie di osservazioni «critiche» ad una relazione degli investigatori, da loro definita «informale» e senza indice degli atti, che era stata inviata da Storari a febbraio e che conteneva il materiale da lui raccolto. Una nota in cui spiegano perché non hanno portato quegli atti nel processo: undici pagine che lunedì scorso, giorno delle perquisizioni sui loro pc, i due magistrati hanno consegnato anche agli inquirenti bresciani. Con contestazioni sulla regolarità della procedura con cui Storari ha acquisito le chat, perché la consulenza sul telefono di Armanna, scrivono, non è ancora terminata. Secondo la versione di Storari, coi suoi accertamenti si è arrivati a scoprire che Armanna avrebbe pure falsamente attribuito a Granata e Descalzi due numeri in realtà non intestati a loro. Tuttavia, per gli altri pm, quelle analisi non possono essere considerate definitive. E la chat sui 50mila dollari potrebbe anche riferirsi ad un file che interessava ad Armanna.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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