Caso camici, Attilio Fontana rischia il rinvio a giudizio
Il governatore di Regione Lombardia Attilio Fontana ha ricevuto ieri la notifica di conclusione delle indagini che lo vede indagato con l'accusa di frode in pubbliche forniture per il caso camici in piena emergenza sanitaria. L'atto prelude adesso alla richiesta di rinvio a giudizio.
Quando venne alla luce il «conflitto di interessi» sulla fornitura per mezzo milione di camici e altri dispositivi di protezione assegnata alla società del cognato, Andrea Dini, nell’aprile 2020, in piena emergenza Covid, Attilio Fontana si sarebbe mosso per trasformarla in donazione e risarcire personalmente il fratello di sua moglie per ciò che aveva già «fatturato», anteponendo «all’interesse pubblico, l’interesse e la convenienza personali». Risultato: furono consegnati alla centrale acquisti regionale Aria solo 50mila dei 75mila «pezzi» previsti. Una presunta «frode» messa in atto per «tutelare l’immagine politica del Presidente della Regione Lombardia».
Si contesta lo stesso reato anche per Andrea Dini, titolare di Dama, per Filippo Bongiovanni, ex dg di Aria, e per la dirigente della centrale acquisti Carmen Schweigl e per Pier Attilio Superti, vicesegretario generale della Regione, nuovo indagato nell’inchiesta passata per testimonianze, interrogatori e analisi dei messaggi scambiati dai «protagonisti». Per Dini e Bongiovanni è stata stralciata per l’archiviazione un’ipotesi di turbativa.
«Sono molto amareggiato per le questioni di carattere morale e politico che emergono da questa vicenda e che rappresentano esattamente il contrario della verità», ha commentato Fontana. «La verità è un’altra - ha aggiunto -. Dimostrerò che quella teoria è completamente errata e che rappresenta il contrario della verità». I pm scrivono che Dama, in base al contratto del 16 aprile 2020, si era «obbligata» a fornire ad Aria 75mila camici e altri 7mila set di dpi che l’amministrazione stava acquistando per 513mila euro. Quando emerse il conflitto di interessi (la moglie di Fontana aveva il 10% di Dama), gli indagati avrebbero tentato «di simulare l’esistenza» dall’inizio «di un contratto di donazione». E avrebbero pianificato «il parziale inadempimento», tanto che la consegna già effettuata di 50mila camici venne convertita in «parziale donazione». Il governatore, secondo i pm, «previo accordo con Dini» decise di «pagare, a titolo personale, in favore di Dama il prezzo» di quei camici. Da qui il tentativo di effettuare un bonifico per il cognato da un conto svizzero, che ha dato il via ad un’altra autonoma indagine per autoriciclaggio e falso in voluntary.
Per i 25mila camici non forniti, per la Procura, si intervenne sull’allora dg di Aria Bongiovanni «affinché rinunciasse alle residue prestazioni» per contenere il «danno economico» per Dama. Per tutti l’aggravante di aver commesso il fatto su una fornitura di «cose destinate ad ovviare» alla «pandemia da Covid».
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