Assembramenti, test in ritardo e dati parziali: Fase 2 a rischio
La parola d’ordine è evitare gli assembramenti. Mentre in Italia c’è confusione sul monitoraggio della pandemia di Covid-19 - con i parametri che sono stati modificati in corsa e almeno la metà degli enti locali che non avrebbero ancora inviato al ministero della Sanità dati attendibili e completi -, mentre non c’è ancora uno strumento di contact tracing (per l’app Immuni c’è da attendere), mentre i test sierologici sono in ritardo e i tamponi scontano la cronica carenza di reagenti, mentre si attende un piano sanitario per affrontare le prossime ondate (le linee guida sugli ospedali Covid, ad esempio, ancora non ci sono), l’attenzione della politica è rivolta verso i clienti di bar e ristoranti. Colpevoli, secondo le dichiarazioni del premier Conte o dei governatori Fontana e Zaia, di non rispettare le regole sul distanziamento sociale e sull’utilizzo dei dispositivi di protezione. Una situazione che ricorda quella di inizio marzo, con i locali o le piste da sci affollati nonostante l'esplosione della pandemia, su cui si concentrò gran parte del discorso pubblico, salvo poi scoprire che, ad esempio, per Alzano Lombardo, Nembro e Orzinuovi in quegli stessi giorni l'Iss proponeva l'istituzione di zone rosse mai arrivate.
«Non è il tempo dei party e della movida - ha detto il presidente del Consiglio -. Nessuno pensi che siano saltate le regole di precauzione». Il timore è che la curva dei contagi possa tornare a salire, soprattutto in quelle regioni, Lombardia e Piemonte in primis, arrivate alla fine del lockdown con numeri alti in termini di nuovi casi e di decessi per coronavirus. Questo fine settimana, dunque, sono previsti più controlli, in seguito all’allerta lanciata dal Viminale: l’obiettivo è evitare gli assembramenti dentro e fuori dai locali nel primo fine settimana di riapertura. Pattugliamenti straordinari e ispezioni di bar e ristoranti sono attesi anche a Brescia già da questa sera e proseguiranno fino a domenica.
Per chi viola i divieti le sanzioni possono arrivare fino a 3mila euro. Non solo: in una circolare inviata ai questori, il capo della Polizia Franco Gabrielli chiede il «massimo impegno» nel controllo del territorio, «per prevenire e contrastare l'operatività della criminalità organizzata nonché della criminalità diffusa» e ribadisce la necessità di «assicurare il rispetto del divieto di assembramenti e di aggregazioni di persone e l'osservanza del distanziamento sociale».
La sensazione, a sentire governatori e sindaci, è un po’ quella del «liberi tutti». L'opposto di quel che vanno dicendo da mesi gli scienziati. Per quanto riguarda la Lombardia, Fontana parla esplicitamente di nuove chiusure se gli apericena andranno avanti. Ma dietro alle parole e ai timori degli amministratori locali c'è anche un'altra questione: è loro la responsabilità - come prevede il Dpcm - di decidere se rimanere aperti o chiusi. Una questione richiamata anche ieri dal ministro per le Autonomie Francesco Boccia: «Ogni regione si assume la responsabilità di riaprire gradualmente. Non vince la fretta, ma la valutazione saggia dei numeri». Il problema è: quali numeri? Considerando il periodo di incubazione della malattia e i tempi tecnici per l’analisi dei tamponi e la diffusione dei dati, le cifre diffuse in questi giorni non fotografano ancora appieno la situazione dei contagi dopo la fine del lockdown: in Italia il ritardo medio dell'aggiornamento dei dati è di 15 giorni. Nel frattempo sono state comunque avviate le riaperture e il timore diffuso e che alcuni territori siano costretti a fare marcia indietro. A partire dalla Lombardia, in cui ancora ieri si contavano 294 nuovi contagi (50 nella sola Brescia) sui 665 casi in Italia.
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