Vertice Ue, Conte: «Impraticabile proposta di Rutte»
Dopo mesi confinati nelle proprie capitali, i 27 leader europei tornano a chiudersi nel salone del palazzo del Consiglio, senza sapere quando ne usciranno. Sono soli, senza assistenti e con un’ampia distanza che li separa, sia fisica che metaforica.
È il primo dei due o tre giorni del vertice che tutti aspettavano, dentro e fuori l’Europa, ma le aspettative a Bruxelles volano basse. «Le differenze sono ancora molto grandi e non possiamo prevedere se riusciremo a raggiungere un risultato» ammette la cancelliera Merkel. Macron fa capire che la posta è alta perché «è in gioco il nostro progetto europeo». Ma non basta ad ammorbidire le posizioni dei colleghi. Potrebbe essere una questione di tattica: prima ci si posiziona alle estremità, poi si negozia per arrivare al centro. O almeno questa è la speranza dei presidenti Michel e von der Leyen, che restano positivi e vedono un «accordo possibile».
Non è un tutti contro tutti, ma una guerra tra bande. La prima ad esplodere, annunciata già alla vigilia, è tra Conte e Rutte. «La tua proposta sulla governance del Recovery fund è incompatibile con i trattati e impraticabile sul piano politico», gli si rivolge il premier riferendosi all’unanimità del voto in Consiglio (leggi diritto di veto) che l’olandese reclama per gli esborsi europei. «Non la beviamo», replicano dall’Aja. «Questa è una situazione eccezionale che richiede una solidarietà eccezionale, per la quale si possono trovare soluzioni straordinarie. Occorre essere creativi», insistono fonti olandesi. I diversi schieramenti sono in contatto da settimane e hanno concordato le strategie.
L’austriaco Kurz spiega la posizione dei frugali: «Insieme a Paesi Bassi, Svezia e Danimarca abbiamo una linea strettamente coordinata», che prevede una riduzione del «volume totale» del bilancio e del Recovery fund e soprattutto della quota di «sovvenzioni» a fondo perduto. Vogliono poi cambiare i criteri di distribuzione degli aiuti, ora basati su Pil e disoccupazione degli ultimi 5 anni, e le modalità di «rimborso», anticipando la restituzione degli aiuti. Anche la Finlandia preferirebbe «meno della metà di sovvenzioni», annuncia la premier Sanna Marin. C’è poi la battaglia in solitaria dell’Olanda sulla governance, cioè su chi darà il via libera ai piani di rilancio dei singoli Paesi. Rutte, come detto, insiste perché sia il Consiglio a decidere all’unanimità, in modo da avere un controllo diretto sui piani di ciascuno.
L’Italia è in prima fila con Spagna, Portogallo e Francia, tra gli altri, a difendere i 750 miliardi del Recovery fund, e soprattutto i 500 miliardi di sovvenzioni. Perché deve assicurarsi che non scendano quegli 81 miliardi che le spettano nell’attuale distribuzione. Qualcosa è disposta a tagliare, ma certamente non sulla parte destinata alle sovvenzioni per il rilancio, bensì su quella che andrà ai singoli programmi. Infine c’è la fronda dei Visegrad con Polonia e Ungheria che hanno alzato le barricate sul tema molto delicato dello stato di diritto.
La proposta di Michel sul Recovery fund lega gli aiuti al rispetto delle regole democratiche e dei valori europei. Ma Ungheria e Polonia sono sotto procedura proprio per il mancato rispetto dello Stato di diritto, e quindi non solo chiedono di cambiare la proposta sul tavolo ma anche di rivedere quell’articolo 7 del Trattato Ue a causa del quale sono finite a rischio sanzioni. Mettere come condizione il rispetto dello Stato di diritto per accedere ai finanziamenti Ue è «arbitrario» ed è «una minaccia per la certezza del diritto», ha avvertito il premier polacco Mateusz Morawiecki. Tra i temi della discordia c’è anche la questione dei rebates, o sconti al bilancio, di cui godono oggi Olanda, Svezia, Danimarca e Germania, e che quasi tutti, tranne i diretti interessati, considerano obsoleti. Qualcuno spera possano diventare oggetto di scambio con l’Olanda e i frugali, ma nel negoziato sul bilancio più complicato della storia dell’Unione certamente non potrà essere l’unico.
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