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Strage di Orlando, 50 morti: «Un altro 11 settembre»

A Orlando, dopo la strage costata la vita a 50 persone, è l'ora del dolore. A carico di Omar Mateen, spuntano due archiviazioni dell'Fbi
  • Strage di Orlando, le ore del dolore
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  • Strage di Orlando, le ore del dolore
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    Strage di Orlando, le ore del dolore
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«Un altro 11 settembre», «abbiamo fatto la storia, ma non in senso positivo»: ora «basta armi». Decine di persone si radunano vicino al Pulse, il locale gay di 
Orlando teatro della più sanguinosa sparatoria della storia americana: 50 morti e 53 feriti. Le strade sono chiuse, un silenzio assordante è interrotto solo da un elicottero che perlustra l'area e la città, che sembra spettrale. A meno di 24 ore dalla strage compiuta da Omar Mateen - a quanto pare armato di una pistola e di un fucile da guerra, recuperati dagli investigatori -, Orlando è come paralizzata.

La polizia e l'Fbi sono al lavoro ininterrottamente. C'è chi cerca di aiutare come può: distribuendo bottigliette d'acqua e portando ghiaccio, che va ruba con l'elevata temperatura nonostante l'acquazzone pomeridiano. «Una mia amica mi ha detto che serviva ghiaccio, ne ho quattro confezioni, posso lasciarle a qualcuno?»: è una donna sui 45 anni a bordo di un'auto blu, fermata immediatamente dalla polizia, che poi la ringrazia e le indica le modalità per scaricare il ghiaccio.

Accanto a lei un ragazzo con un cartellone fatto a mano, con Topolino «triste, che piange. È una simbologia che anche i bambini possono capire. E cosa diranno i genitori a questi bambini? Dobbiamo dire basta alle armi» afferma. 

«È un altro 11 settembre» sono le parole di John, un ragazzo di 30 anni. «A New York sono molte più persone nell'attacco, ma era organizzato. Al Pulse è stata una sola persona» spiega. Con lui un amico: «Siamo venuti al Pulse diverse volte, non ieri sera». «Abitiamo qui vicino, non conosco nessuno che è rimasto vittima della strage, ma mio fratello sì» dice un ragazzo afroamericano che, insieme a una ragazza ispanica, distribuisce acqua. 

Intanto l'inchiesta prosegue a ritmi serrati. A casa dell'autore della strage è stato rinvenuto un intero arsenale. E gli inquirenti affermano che l'uomo volesse compiere una strage al gay pride di Los Angeles. E non mancano le prime polemiche: se l'ex moglie dell'attentatore, Omar Mateen, lo definisce ora «un instabile» e racconta di essere stata picchiata dall'uomo in passato (al Washington Post, mantenendo l'anonimato racconta che «tornava a casa e iniziava a picchiarmi perchè la lavatrice non era finita o per motivi analoghi»), dagli archivi del Federal Bureau of Investigation emergono due archiviazioni a carico dell'uomo, finito per due volte sotto la lente degli investigatori per possibili legami con il terrorismo. Legami che in entrambe le occasioni non si riuscì a dimostrare.

 

 

 

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