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Strage di Bologna, spunta l'intercettazione di Carlo Maria Maggi

«Sicuramente sono stati loro»: così il mandante della Strage di piazza Loggia, in un dialogo registrato in casa sua, conferma gli esecutori
Carlo Maria Maggi durante il processo per la Strage di piazza Loggia
Carlo Maria Maggi durante il processo per la Strage di piazza Loggia
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«Sicuramente sono stati loro». E loro sono Giusva Fioravanti e Francesca Mambro, condannati all’ergastolo in quanto esecutori materiali della Strage di Bologna, di cui il 2 agosto ricorre il quarantesimo anniversario. Tra gli atti della nuova inchiesta per l’attentato più efferato della storia della Repubblica italiana, quando una bomba nella sala d’attesa in stazione esplose mietendo 85 vittime e ferendo 200 persone - spunta un’intercettazione a Carlo Maria Maggimandante della Strage di piazza Loggia a Brescia nel 1974, condannato all’ergastolo e morto a dicembre del 2018.

Si tratta di una serie di dichiarazioni dell’ex leader di Ordine Nuovo, registrate in un’intercettazione ambientale raccolta a casa sua, mentre discute a cena con il figlio, la sera del 18 gennaio 1996. Argomento: la Strage di Bologna. «Lui ha i soldi» diceva Carlo Maria Maggi, riferendosi a Fioravanti. «Il giudice ha da giorni... ha tracciato che la Mambro e Fioravanti...», chiedeva il figlio, «hanno fatto la strage di Bologna?». Risposta del padre: «Sì sicuramente... sono stati loro». E ancora Maggi: «Eh, intanto lui ha i soldi».

Maggi parla anche, secondo quanto riferisce Repubblica, di Ustica: «È stato un episodio di guerra fredda; perché la strage di Bologna è stato un tentativo di confondere le acque. Per far dimenticare Ustica. Lo so perché è così».

Per lunghi anni i familiari delle vittime della Strage di Bologna hanno chiesto di conoscere i mandanti dell'attentato. Era il tassello mancante e fondamentale, il lato oscuro da scoprire per fare completa luce su quanto accadde il 2 agosto 1980 e forse, ancor di più, per cercare una ragione alla bomba fatta esplodere nella sala d'aspetto della stazione. Quest'anno, per il quarantesimo anniversario, ci sono finalmente quattro nomi, anche se rimarranno sulla carta: Licio Gelli, Umberto Ortolani, Federico Umberto D'Amato, Mario Tedeschi. Tutti e quattro sono morti e non potrà mai esserci un processo, né una sentenza di condanna o di assoluzione.

La Procura generale, che nel 2017 ha avocato a sé l'indagine innescata dai dossier presentati dall'Assovittime, mandata in precedenza verso l'archiviazione dalla Procura ordinaria, è arrivata alla conclusione che dietro la strage c'è «Il Venerabile» della loggia massonica P2, morto nel 2015, in combutta con apparati deviati dello Stato, a coprire e sviare le indagini. Gelli, già condannato per depistaggio nei processi sulla Strage, avrebbe agito con l'imprenditore e banchiere legato alla P2 Umberto Ortolani, suo braccio destro, con l'ex prefetto ed ex capo dell'ufficio Affari Riservati del ministero dell'Interno Federico Umberto D'Amato e con il giornalista iscritto alla loggia ed ex senatore dell'Msi, Mario Tedeschi. I primi due sono indicati come mandanti-finanziatori, D'Amato mandante-organizzatore, Tedeschi organizzatore.

Da deceduti, il loro nome è stato iscritto nell'avviso di fine indagine dove si certifica il concorso con gli esecutori, cioè i membri dei Nar (Nuclei Armati Rivoluzionari) già condannati: Giusva Fioravanti, Francesca Mambro, Luigi Ciavardini e Gilberto Cavallini, i primi tre in via definitiva e l'ultimo in primo grado, dopo la sentenza all'ergastolo di gennaio. Ma anche con Paolo Bellini, il «quinto uomo», altro esponente dei movimenti di estrema destra, ex Avanguardia Nazionale, finito indagato quest'anno, a 40 anni dai fatti, e con altre persone «da identificare» al centro di un ulteriore filone investigativo ancora aperto.

 

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