Stadio, cinema, auto: cosa fanno le donne in Arabia Saudita
Le polemiche sull'opportunità di disputare o meno a Gedda il 16 gennaio la partita Juve-Milan di Supercoppa si accende esattamente un anno dopo quello che per le donne saudite è stato un giorno «storico»: per la prima volta, il 12 gennaio 2018 è stato concesso loro di assistere ad una partita di calcio dagli spalti di uno stadio del loro Paese, proprio a Gedda, per il match tra al-Ahli e al-Batin.
Da molti l'evento fu salutato come una pietra miliare nel processo di riforme avviato dal controverso principe ereditario Mohammed bin Salman. Altri la liquidarono come una manovra «puramente cosmetica», ricordando, ad esempio, che nel regno le donne devono ancora attenersi a un rigido «codice di abbigliamento».
«Questo evento dimostra che stiamo avviandoci verso un prospero futuro e sono molto orgogliosa di essere testimone di un così vasto cambiamento», disse allora al Guardian Lamya Khaled Nasser, una donna di 32 anni di Gedda.
Tuttavia, il cambiamento non è stato così profondo, poiché per entrare negli stadi sauditi - e solo in quelli adeguatamente attrezzati - le tifose di calcio hanno da allora dovuto fare la fila davanti ad appositi tornelli che aprono gli accessi a settori destinati esclusivamente «alle donne e alle famiglie», e che prevedono sale di preghiera, bar e ristoranti solo a loro riservati. Vale a dire, lontane dai tifosi maschi non sposati.
Ciò nonostante, il principe ereditario venne allora osannato in tutto il mondo come un riformista, per l'impulso da lui dato ad una modernizzazione del regno. Un impulso che ha fatto registrare anche dal giugno scorso la concessione del permesso alle donne di guidare l'automobile, l'organizzazione dei primi concerti di cantanti pop donne e la riapertura dei cinema dopo un bando imposto per 35 anni.
Anche in questo caso, si tratta però di aperture con notevoli limiti: le donne possono guidare le auto soltanto dopo aver ricevuto un permesso dal loro «garante» maschio. E come se non bastasse, proprio in quei mesi una decina di attiviste saudite per i diritti delle donne che si sono battute in particolare proprio per il diritto alla guida sono finite dietro le sbarre, rischiando, secondo una denuncia di Amnesty International, fino a 20 anni di carcere.
E per quel che riguarda i concerti pop, è stato chiarito che sono riservati soltanto al pubblico femminile, mentre i cinema possono proiettare soltanto i film approvati dalla rigida censura, affinché «siano in linea con i valori e i principi in vigore e non contraddicano la legge islamica e i valori morali del Regno», come dissero le autorità.
Un quadro che non aveva però impedito al principe bin Salman di annunciare qualche mese prima la volontà della casa reale degli al Saud di promuovere «l'Islam moderato», e in tal senso di farsi promotore di un processo intitolato «Visione per il 2030», in riferimento all'anno in cui il regno del Golfo dovrebbe essersi emancipato dalle risorse petrolifere e aperto al mondo. Ora questa spinta sembra essersi quanto meno arenata dopo il drammatico caso del giornalista dissidente Jamal Khashoggi, massacrato il 2 ottobre scorso nel consolato saudita ad Istanbul. Un barbaro assassinio che ha profondamente minato la reputazione internazionale del principe Mohammad bin Salman, da molti indicato come il mandante.
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