Smart working amaro: disagi per 5 lavoratori su 10
Nostalgia dell'ufficio (e delle relazioni tra colleghi) da un lato e risparmi sulle spese di trasporto dall'altro, ma anche problemi psico-fisici per le scomode postazioni domestiche, uniti alla possibilità di conciliare (meglio) la cura familiare con le mansioni assegnate: è il ritratto dello smart worker, frutto dell'indagine effettuata dalla Fondazione studi dei consulenti del lavoro su un campione rappresentativo di occupati che la pandemia ha indotto a praticare l'attività da remoto.
Oggi «circa 7,3 milioni» di addetti (il 31,7% del totale) svolgono incarichi senza muoversi dall'abitazione: c'è «il 14,8% che lo fa in forma esclusiva, non andando mai in sede, il 16,8% in modalità ibrida, alternando giorni, o settimane, in presenza e a distanza», ricordano i professionisti. Il 71,1% degli interpellati, diminuite le uscite per spostamenti, vitto e vestiario, ha investito il denaro in consumi legati al tempo libero (nel 54,7% dei casi), tuttavia, «il 48,3% paga il conto per l'utilizzo di sedie e scrivanie improvvisate ed il 39,6% lamenta l'inadeguatezza di spazi e infrastrutture», in particolare quelle digitali.
Protagonisti (volenti, o nolenti) del lavoro agile «i segmenti più qualificati dell'occupazione», visto che «la quota arriva al 52,2% tra i laureati, mentre scende al 13,5% tra chi ha un titolo di studio inferiore al diploma», e raggiunge il 54,6% tra chi opera in aziende, o organizzazioni terziarie, di servizio alle imprese, credito e assicurazioni, per «scendere al 37,8% nella Pubblica amministrazione, al 27,9% nell'industria e al 21,2% nel commercio e distribuzione».
Uomini e donne hanno reagito in modo differente alla permanenza a casa: in termini relazionali e di carriera, la componente maschile pare averne patito di più (il 52,4% contro il 45,7% delle donne), «guadagnando, tuttavia, in produttività e concentrazione. Viceversa - si legge nel testo - le occupate hanno sofferto l'allungamento dei tempi di lavoro (il 57% contro il 50,5% degli uomini) e l'inadeguatezza degli spazi casalinghi (42,1% contro 37,9%), evidenziando un maggior rischio di disaffezione verso le proprie mansioni (44,3% rispetto al 37% dei colleghi)».
C'è, poi, un 16,7% di intervistati che vede, oramai, lo smart working come «un punto di non ritorno della propria vita professionale», circostanza che per il presidente della Fondazione studi dei consulenti del lavoro Rosario De Luca «evidenzia la necessità di ripensare alla regolazione del lavoro subordinato, contemperando le richieste di imprese e dipendenti».
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