Italia e Estero

Segnali dal centrosinistra, il riscatto parte dalla Scandinavia

La vittoria in Danimarca è un’inversione di tendenza. In Europa meridionale i casi di Spagna e Portogallo
Inversione di tendenza in Europa
Inversione di tendenza in Europa
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Un nuovo centrosinistra si affaccia nel continente europeo dopo anni crisi profonda. La rinascita parte dalla Scandinavia e dalla penisola iberica, dopo che i socialdemocratici europei hanno dovuto incassare la scomparsa del partito socialista francese per l’inconsistenza del suo ultimo interprete, l’ex presidente François Hollande, e la subalternità politica forzata della Spd tedesca costretta nella grande coalizione con la Merkel. Senza dimenticare la consunzione del Pd renziano, quello del 40% alle Europee del 2014 che oggi, guidato da un presidente di Regione, Nicola Zingaretti, festeggia l’aver superato il 20% alle consultazioni del 26 maggio.

Il rilancio di una nuova sinistra europea parte questa volta dalla Scandinavia. In Svezia Stefan Lovfen, dopo aver rintuzzato l’assalto populista dei Democratici svedesi nelle Politiche del settembre 2018, con molta fatica è riuscito a costituire un governo di minoranza ad inizio gennaio: il 26 maggio per le Europee pur arretrando di una manciata di punti percentuali nei consensi è rimasto il primo partito. E nella patria di Greta Thunberg, nonostante il risultato non sia stato eclatante, il partito ambientalista ha migliorato del 7% rispetto alle politiche di nove mesi fa.

Chi governa in Europa - © www.giornaledibrescia.it
Chi governa in Europa - © www.giornaledibrescia.it

In Finlandia, invece, ad una settimana dal voto per il rinnovo del Parlamento europeo, i socialisti di Antti Rinne hanno appena trovato l’intesa per formare un governo di centrosinista dopo il voto dello scorso 14 aprile dove hanno sopravanzato dello 0,2% i populisti del Perussuomalaiset. Non hanno replicato il successo alle Europee, ma anche in questo caso si è registrata la crescita del Partito verde (Vihrea liitto) - dall’11% al 16% in poco più di un mese - a dimostrazione che un travaso di voti all’interno del centrosinistra finlandese è andato comunque a discapito di forze di centrodestra e populiste.

Infine la Danimarca dove nell’arco di una settimana i socialdemocratici, alle Europee sono arrivati secondi alle spalle dei liberali della Venstre (23,5% contro 21,5%), ma soprattutto alle politiche del 5 giugno guidati da Mette Frederiksen hanno vinto le elezioni con il 25,9% e soprattutto con il blocco di centrosinistra hanno i numeri per costruire un governo con la maggioranza in Parlamento.

Il prezzo da pagare per questo riscatto del centrosinistra scandinavo è alto. Sulle questioni migratorie i socialdemocratici hanno dovuto spostare le proprie posizioni verso destra, in particolare la danese Frederiksen ha fatto proprie le istanze dei populisti del Dansk Folkeparti; ma lo stesso è accaduto con Lofven in Svezia. D’altra parte, però, i socialdemocratici nordici hanno saputo parlare apertamente di questione ambientale (puntando anche sul Green new deal europeo), spartendosi la posta con i partiti verdi e soprattutto immaginano un aumento di spesa per rafforzare il sistema del welfare: da pensioni e sostegno al reddito (anche se in Finlandia non verrà replicato l’esperimento fallimentare fatto due anni fa dal centrodestra del reddito di cittadinanza).

È lungo questa linea di demarcazione politica, tuttavia, che anche in Europa meridionale il socialista spagnolo Pedro Sanchez e il portoghese Antonio Costa hanno costruito il loro successo politico. In particolare Sanchez, che è ancora alle prese con una difficile trattativa politica per la formazione di un governo con la sinistra di Podemos (che però ha perso i suoi tratti più marcatamente di ispirazione chavista), propone una piattaforma politica chiara e in qualche modo antipopulista: europeista, con la difesa netta dei diritti civili e diritti sociali e, come ha detto in campagna elettoralem con «una politica che porti la concordia nella società spagnola» (negli ultimi anni attraversata dalle tensioni legate anche alle vicende catalane).

Da parte sua il governo portoghese del socialista Costa, ha ridato credibilità al Paese e ha anche deciso un aumento dei salari minimi e l’abbassamento dell’età pensionabile per i dipendenti pubblici. Certo questo l’ha costretto a tagli negli investimenti e a forti proteste di piazza. Ma ha raddrizzato le sorti del Paese che oggi ha un’economia che cresce più di quella tedesca.

Se a Lisbona la sinistra sorride, ad Atene si prepara ad una sconfitta annunciata: secondo tutti i sondaggi il 7 luglio in occasione delle elezioni anticipate Syriza e il suo leader (nonché attuale premier) Alexis Tsipras verranno sconfitti dai centristi Nea Demokratia. Lasceranno col merito di aver portato la Grecia fuori dal programma di salvattaggio, certo ad un prezzo altissimo in termini sociali. Ma la missione di Tsipras in qualche modo può dirisi compiuta. Tanto che da più parti c’è chi lo vorrebbe per un incarico in Europa. Ma, in ogni caso, se si esclude il caso greco, che è da considerarsi limite, un nuovo centrosinistra attraversa l’Europa, impaurita dalla minaccia sovranista. Un centrosinistra, più pragmatico che sta cercando nuovi canali per raccogliere le istanze del popolo.

 

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