Italia e Estero

Scendere ora dall'F35? Una scelta che non convince

L’Italia è stretta fra gli accordi con gli Usa e le partnership per l’Eurofighter
Due aerei F35. All’Aeronautica italiana ne è già stata consegnata una dozzina - © www.giornaledibrescia.it
Due aerei F35. All’Aeronautica italiana ne è già stata consegnata una dozzina - © www.giornaledibrescia.it
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Il ministro della Difesa, Elisabetta Trenta ha detto che l’Italia non ordinerà altri cacciabombardieri F35 e che valuterà la possibilità di uscire dal programma, pur consapevole che vadano considerati aspetti contrattuali, occupazionali ed industriali.

Confortati dalla Corte dei Conti, gli analisti hanno sempre sostenuto che l’F35 non è un affare per l’Italia. Il velivolo Usa, che punta su bassa osservabilità radar e super avionica, ha portato in Italia minime ricadute economiche ed occupazionali rispetto alle previsioni del 1996: allora si ipotizzavano 135 aerei per l’Italia (poi ridotti a 90) e lavoro per diecimila persone. Abbiamo aderito investendo 2 miliardi nel Jsf (Joint strike fighter) e realizzato un impianto di assemblaggio per l’F35 a Cameri (Novara), dentro una base militare: la Faco (Finally assembly and check out) è costata 900 milioni e doveva essere «unica» fuori dagli Usa, garantendo decenni di lavoro, anche come hub della manutenzione del velivolo. Ma impianti simili sono sorti in Gran Bretagna, Turchia, Israele e Giappone.

A Cameri restano manutenzioni secondarie (quasi di «carrozzeria»); l’avionica sarà curata dagli inglesi, i motori dai turchi. Israele svilupperà «sue» dotazioni elettroniche. Inoltre, gli aerei prodotti a Cameri saranno meno del previsto: circa 140; novanta per l’Italia, gli altri per l’Olanda. Con l’indotto, neppure duemila occupati. Il programma F35, però, è lanciato: volano già trecento aerei, di cui una dozzina consegnati all’Italia.

Abbiamo sinora investito oltre 4 miliardi, adeguando le basi che lo ospitano (Amendola, vicino a Foggia) o lo dovrebbero ospitare dal 2025 (Ghedi). Alla fine, pur con continui costosi aggiornamenti (perché l’avionica, concepita troppi anni fa, è invecchiata) avremo l’aereo da attacco al suolo più sofisticato del mondo; ma gran parte della logistica resterà statunitense, col sistema Alis che gestirà la vita operativa della flotta mondiale di F35. Difficile capire perché l’Italia sia entrata in questa avventura essendo già partner del programma Eurofighter Typhoon, caccia le cui consegne continuano e che porta reddito alla nostra industria, partner al 32%.

Il Typhoon, considerando i possibili «nemici» è più che adeguato. A meno che qualcuno non pensi seriamente che attaccheremo la Russia o la Cina... Il Typhoon è stato definito caccia per superiorità aerea: in realtà è diventato polivalente, eccellendo anche nell’attacco al suolo, tanto è vero che la Luftwaffe ne acquisterà una versione evoluta per sostituire i Tornado. Infatti Francia e Germania (più «ricche» di noi) non hanno aderito all’F35 e hanno aeronautiche «monotipo»: Parigi sul Rafale («gemello» dell’Eurofighter) e Berlino sul Typhoon. Inoltre la scelta delle Germania consentirà di adattare al Typhoon la bomba nucleare B61 (stoccata anche a Ghedi), opzione che ci aveva fatto propendere per l’F35 (con essa già compatibile).

I Cinque Stelle, come Elisabetta Trenta, sono da sempre «nemici» dell’F35,ma non acquistarne altri non ha senso. Infatti non possiamo tenere in linea solo 26 aeroplani, il cui costo logistico diverrebbe enorme con un significato operativo scarso. Inoltre, mentre nuovi Typhoon soddisferebbero l’Aeronautica (che potrebbe «girare» i nuovissimi F35A a paesi alleati), resta il problema della Marina: gli AV8B Harrier della portaerei Cavour, infatti, tra qualche anno andranno sostituiti e l’unico velivolo simile disponibile è l’F35B (ne abbiamo già avuto uno).

Una ventina di F35B, perciò, servono: costano 150 milioni l’uno, ma non hanno alternative. Ma l’F35 è soprattutto un problema di alleanze e gli Usa (anche se ci trattano un po’ a pesci in faccia) ci contano parecchio. Inoltre bisognerebbe garantire il lavoro al migliaio di dipendenti della Faco di Cameri. Una patata bollente per Trenta. Ma il timore, forte, è che ci si limiti a dilazionare gli investimenti, acquistando gli F35 col contagocce, senza preoccuparsi degli aspetti operativi, per tacitare i pentastellati. Una soluzione, certo: all’italiana.

 

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