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Rosa, medico volontario al Civile: «Si respirava aria di morte»

La dottoressa Selvaggio ha ricevuto, insieme ad altri colleghi, un riconoscimento dal premier Conte per la lotta contro il Covid-19
Gli spazi Covid-19 ricavati al Civile - Foto Gabriele Strada /Neg © www.giornaledibrescia.it
Gli spazi Covid-19 ricavati al Civile - Foto Gabriele Strada /Neg © www.giornaledibrescia.it
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Un trolley e un camice. Sono partiti così, in oltre mille, i medici e gli infermieri che per tre mesi hanno dato sostegno ai colleghi degli ospedali italiani sommersi dall'emergenza coronavirus. Oggi hanno ricevuto un attestato di riconoscimento da parte del governo, direttamente dalle mani del premier, Giuseppe Conte. «Senza di voi oggi non saremmo qui», le parole del presidente che poco prima ha ascoltato con attenzione le parole di Rosa Selvaggio, una di quei medici che non vogliono sentirsi chiamare «eroi». «Ma siete comunque professionisti con un cuore grande», il ringraziamento di Conte.

È lei a raccontare i tre mesi «più duri della nostra vita», come ha detto il ministro della Salute, Roberto Speranza. Oltre novanta giorni in corsia, mattina e sera, per combattere il «nemico invisibile». «Siamo fieri di quello che abbiamo fatto - ricorda -. Quando eravamo sull'aereo militare abbiamo cominciato a capire che partivamo per la guerra». E la «guerra» la dottoressa l'ha vissuta in prima linea, negli Spedali Civili di Brescia, una delle zone più co,pite dal virus.

«In ogni millimetro cubo di aria - racconta - si respirava aria di morte, ma eravamo comunque fieri di poter far qualcosa per queste persone. Lì non avevamo tanta scelta dovevamo soltanto aiutare i pazienti sospetti covid positivi». Il lavoro in ospedale è stato lungo e logorante, come racconta la Selvaggio. «Quello che potevamo fare per i colleghi di Brescia era aiutarli a superare il duro momento che avevano passato. Li sollevavamo dalle notti. Tutti noi facevano i turni di notte nei pronti soccorso e devo ammettere che non è stato molto facile».

«Ogni notte - ricorda - c'era un elicottero che si alzava in volo almeno 10-12 volte. Sapevamo che andava a prendere nelle valli le persone che non potevano essere soccorse in ambulanza. Mi chiedevo: "com'è possibile che sono qui a fare una cosa del genere?" Ma la cosa più straziante era vedere la notte le mamme con i bimbi in carrozzella autistici che non potevano essere accolti durante il giorno per via del covid e quindi noi non potevamo trattarli». Il loro arrivo in ospedale è stato salutato con gioia dai colleghi.

«Ci hanno trattato da eroi - spiega - perché nessuno sapeva che arrivavamo e quindi quando ci hanno visto erano tutti strafelici». «Alla fine della missione eravamo tutti stanchi ma anche soddisfatti - conclude - perché sapevamo di aver svolto un ruolo importante, di aver aiutato i colleghi, le persone, il popolo italiano».  

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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