Riforma costituzionale: sistemi elettorali e di governo
Come si intrecciano la nuova legge elettorale, il nuovo Senato previsto dalla riforma costituzionale e i poteri dell’esecutivo? È lecito chiedersi se la riforma del bicameralismo paritario in monocameralismo rafforzato con la sola Camera dei deputati eletta dai cittadini non stia trasformando l’attuale forma di governo italiana, Repubblica parlamentare, in qualcosa di più simile a un premieriato o a un cancellierato alla tedesca, con un modello più funzionale all’operato di governo.
È questo il famigerato «combinato disposto» (legge elettorale più riforma costituzionale), al centro del contendere tra chi è per il Sì e chi è per il No alla riforma costituzionale e quindi al referendum del 4 dicembre.
La nuova legge elettorale, il cosiddetto Italicum, prevista esclusivamente per la Camera dei deputati (il Senato verrà eletto con un voto di secondo livello), non è tema referendario, ma è stata approvata dal Parlamento in contemporanea alla riforma costituzionale. Questo perché entra in una cornice più ampia di riforma del sistema parlamentare ed è conseguente al passaggio dal bicameralismo paritario (in cui le due Camere concorrono in maniera paritaria al legislativo) al monocameralismo rafforzato (in cui il Senato ha competenze limitate e semplicemente compartecipa alla definizione delle leggi). L’Italicum è entrato in vigore il primo luglio 2016 e eleggerà solo i deputati.
Si tratta di un sistema proporzionale con riparto nazionale dei seggi, con soglie di sbarramento (al riparto accedono solo le liste che hanno superato il 3%), premio di maggioranza, circoscrizioni su base provinciale e a doppio turno. Sono due i fattori introdotti per garantire la governabilità. Se la lista più votata dovesse ottenere almeno il 40% dei voti, otterrà un premio di maggioranza. Il premio assegnerà alla lista più votata 340 seggi su 617, ovvero il 55%. Se nessun partito arriverà al 40% si andrà al ballottaggio, un secondo turno
elettorale per assegnare il premio di maggioranza. Accederanno al ballottaggio le due liste più votate al primo turno e il vincente otterrà un premio di maggioranza tale da arrivare a 340 deputati.
Alla luce della nuova Costituzione, il leader del partito che vince le elezioni va dritto a Palazzo Chigi, senza dover cercare una maggioranza parlamentare. Non va dimenticato, infatti, che la riforma prevede che la sola Camera dei Deputati debba votare la fiducia al governo. Non solo il premier avrebbe in mano il pallino anche del Legislativo, visto che il suo partito avrebbe la maggioranza assoluta a Montecitorio. Si tratta sicuramente di un potere che non ha precedenti nella nostra storia repubblicana.
Si profila, almeno a livello teorico, un altro scenario nella nuova forma parlamentare che scaturisce dalla riforma, ovvero la coabitazione con un Senato di colore opposto. Questo perché i senatori sono, secondo quanto prevedono le norme transitorie, eletti per tre quarti dai consigli regionali (il resto sono 21 sindaci, uno per Regione e cinque senatori emeriti eletti dal presidente della Repubblica e in carica sette anni). Ora, se il Senato sarà composto da una maggioranza di rappresentanti di colore diverso dal premier, potrebbe essere messa in atto una continua azione di disturbo e un’opposizione all’azione della Camera.
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