Richiedenti asilo pagati 5 euro al giorno per caricare container
L'odore, mefitico, del caporalato aleggiava dal 16 aprile dell'anno scorso quando un furgone Ducato, con a bordo otto richiedenti asilo, era finito in un fosso, per la disattenzione del conducente o la foratura di uno pneumatico. Erano morti in due, un senegalese di 23 anni e chi era alla guida, un egiziano di 32. Gli occupanti erano trasportati in piedi, poiché il Ducato non aveva posti a sedere, tantomeno cinture di sicurezza.
Nell'immediatezza era emerso che i migranti erano stati a Trigolo, a una decina di chilometri da Soresina, nel cremonese, dove ha sede la comunità che li ospitava, per mettere in un container dei capi d'abbigliamento dismessi. Un'attività estranea a quella della comunità e finita nel mirino degli agenti della Squadra Mobile della Questura lombarda che hanno portato a termine l'operazione «Stracci d'oro» con l'esecuzione di cinque misure cautelari tra ordinanze di custodia cautelare in carcere, ai domiciliari, e obblighi di dimora.
I migranti (16 quelli identificati ma potrebbero essere una trentina) erano stati reclutati per caricare i container di stracci sulle navi che da Genova arrivavano in Tun Loro, gli sfruttati, di euro ne guadagnavano tre all'ora e non sempre, perché i caporali spesso li rimproveravano di lavorare male ed erano minacce, quando volevano qualche euro in più. L'unico italiano coinvolto nell'inchiesta così di rivolgeva a un migrante: «Col c.. che domani mi chiedi i soldi, ti do due, mazzatevai a casa, pakistano di m... che non sai lavorare!». Il leader del gruppo, in una conversazione con un referente nordafricano raccontava come, dopo il tragico incidente, aveva dovuto modificare la «strategia lavorativa», arrivando a punire gli «scansafatiche» ai quali stando agli atti «corrispondeva, nella migliore delle ipotesi, solo cinque euro di compenso per la giornata».
L'organizzazione operava oltre che a Cremona, nelle province di Como, Bergamo e Reggio Emilia. Gli indumenti erano acquistati per 0,30 centesimi al chilo per essere rivenduti sui mercati del Nord Africa ad un prezzo di 30-40 volte superiore. In carcere sono finiti un tunisino di 37 anni, il capo dell'organizzazione, e due fratelli marocchini, di 45 e 43 anni, suoi collaboratori. È agli arresti domiciliari l'unico italiano del gruppo, di 62 anni, napoletano residente nella provincia di Varese. Per tre marocchini è stata disposta la misura dell'obbligo di dimora, eseguita, per ora, solo nei confronti di un trentacinquenne, domiciliato in provincia di Lodi. Gli altri due suoi connazionali sono irreperibili. Altre tre persone sono infine indagate a piede libero.
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