Referendum, un nuovo tentativo per provare a separare le carriere dei magistrati
Il quesito è molto lungo e riguarda l’abrogazione delle numerose disposizioni che fondano o danno la possibilità ai magistrati di passare dalla funzione requirente alla funzione giudicante, o viceversa. La funzione requirente è quella del pubblico ministero, che in un processo è il magistrato che rappresenta l’accusa. La funzione giudicante è quella del giudice, che è invece chiamato a giudicare ed è dunque super partes.
Oggi i magistrati, nel corso della loro vita professionale, possono passare da una funzione all’altra con delle limitazioni e non più di quattro volte. Se vincesse il «sì» si separerebbero nettamente le due funzioni: a inizio carriera il magistrato dovrebbe dunque scegliere o per la funzione giudicante o per quella requirente, senza più la possibilità di passare dall’una all’altra.
Le posizioni
Si parla di questo tema da decenni, in particolare i radicali hanno cercato negli anni di promuovere referendum simili e in Parlamento si è cercato, in svariate occasioni di introdurre questa separazione, ma senza successo. Secondo i promotori la separazione delle carriere servirebbe a «garantire a tutti un giudice che sia veramente "terzo" e trasparente nei ruoli», mentre la normativa così come è ora ha aperto a «conflitti di interesse che spesso hanno dato luogo a vere e proprie persecuzioni contro cittadini innocenti». Le ragioni a sostegno del referendum sono una maggiore equità e indipendenza che sarebbe garantita solo, dicono i promotori, da una netta separazione tra i magistrati che accusano e quelli che giudicano.
Chi è contrario alla modifica pensa innanzitutto che per una riforma così significativa e complessa il referendum abrogativo non sia il mezzo più adatto, e che la modifica normativa che ne deriverebbe porrebbe una questione di incompatibilità con la Costituzione, e dunque renderebbe necessaria una sua modifica. Nel Titolo IV dedicato appunto alla magistratura la Costituzione contiene principi e regole che si riferiscono indifferentemente a tutti i magistrati, sia giudici che pubblici ministeri. Separare le funzioni, dicono i contrari al referendum, isolerebbe poi il pubblico ministero, allontanandolo dalla cultura della giurisdizione: nascerebbe cioè una cultura dell’indagine e dell’accusa autonoma, sganciata da ogni vincolo e ipoteticamente anche da ogni regola deontologica.
La riforma Cartabia
Il referendum si sovrappone alla riforma Cartabia, che dopo il via libera della Camera è ora incardinata al Senato ma di fatto «congelata» per un accordo tra le forze politiche e in attesa dell’esito dei referendum. La riforma in discussione prevede l’opzione di funzione entro termine perentorio. Nello specifico l’emendamento presentato dalla Guardasigilli prevede che il passaggio dalla funzione requirente alla giudicante, e viceversa, possa essere richiesto dall’interessato, per non più di una volta nell’arco dell’intera carriera. Entro i sei anni dalla prima legittimazione al trasferimento, il magistrato sceglie se rimanere per sempre nella funzioni scelta o se cambiare la funzione, poi basta. Non è un passaggio ma un’opzione da esercitare entro un termine perentorio, che secondo gli esperti si traduca in una sola volta entro dieci anni. Magistratura.Pur contraria in toto, l’Associazione nazionale magistrati - che ha protestato con forza contro la riforma Cartabia proclamando lo sciopero - ha scelto un mezzo silenzio sui quesiti referendari. La convinzione è che «non sono referendum che porteranno ad un miglioramento del servizio giustizia». Ad ogni modo, la principale criticità viene individuata proprio nella separazione delle carriere: i due binari distinti tra pm e giudice - secondo l’Associazione, da sempre contraria - lederebbe il principio di autonomia e indipendenza: «Va in senso contrario a quello che vorremmo, un pm più giudice e meno poliziotto», ha detto recentemente il presidente Giuseppe Santalucia.
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