Quirinale, fumata bianca: Mattarella è Presidente bis
«Il senso di responsabilità mi impone di non sottrarmi e prevale sulle mie idee ed anche sulla vita privata». Queste le prime parole del presidente Sergio Mattarella a pochi minuti dalla sua rielezione. Un brevissimo discorso denso di significato e che non elude gli interrogativi che hanno segnato queste settimane, a tratti frenando i partiti nel riproporre il suo nome. Cioè il suo reiterato «no» alla rielezione.
Parla di dovere, di emergenze in atto e della necessità di «interpretare» le esigenze dei cittadini che sono clamorosamente emerse attraverso la spinta del Parlamento che ha travolto i partiti incapaci di esprimere un nome alternativo. Forse per questo il capo dello Stato ha esordito ringraziando proprio il Parlamento e i delegati delle Regioni per la «fiducia» espressa nei suoi confronti. Ma il cuore del suo brevissimo discorso agli italiani si basa su una premessa: «i giorni difficili trascorsi per l'elezione della presidenza della Repubblica nel corso della grande emergenza che stiamo tuttora attraversando sul versante sanitario, su quello economico, su quello sociale richiamano al senso di responsabilità e al rispetto delle decisioni del Parlamento».
Emergenze gravi e, soprattutto, ancora in atto che si associano alla necessità di non frenare la crescita del Paese mentre sono in arrivo i fondi del Pnrr. Pressioni non trascurabili che avrebbero con tutta probabilità investito anche l'esecutivo e minacciato la fine anticipata della legislatura. Ecco perchè il presidente, dopo una profonda riflessione, ha deciso di non persistere nel suo diniego. La chiamata del Parlamento si trasforma così in un dovere per un uomo delle istituzioni come Mattarella: «queste condizioni impongono di non sottrarsi ai doveri cui si è chiamati e naturalmente devono prevalere su altre considerazioni e su prospettive personali differenti, con l'impegno di interpretare le attese e le speranze dei nostri concittadini».
Sono le 20.56 quando il presidente della Camera Roberto Fico proclama Sergio Mattarella presidente della Repubblica. Le sue parole danno la stura ad un nuovo lunghissimo applauso dell'Assemblea dei grandi elettori.
Mattarella è stato rieletto presidente della Repubblica con 759 voti su un totale di 983 presenti e votanti. Non supera dunque il record registrato da Pertini che fu eletto con 832 voti ma diventa il secondo capo dello Stato più votato. Ciampi infatti fu eletto con 707 voti. Nel 2015 Mattarella ottenne 665 voti su un totale di 995 grandi elettori votanti.
«Ho troppo rispetto per il Parlamento per non accettare». Mattarella, dopo una notte di riflessione, accetta il bis. E lo fa per quel senso di rispetto verso le istituzioni che ha caratterizzato tutto il suo settennato. Lo fa comprendendo che ogni altra scelta avrebbe messo a rischio la stabilità del governo in una fase difficilissima per l'Italia e l'Europa. Accetta dopo aver sentito il premier Mario Draghi, anch'egli ormai convinto - nonostante il mai nascosto desiderio di salire al Colle - che una sua uscita di scena da palazzo Chigi avrebbe comportato un rischio gravissimo per il Paese.
Centrodestra e centrosinistra non sono stati capaci di trovare l'accordo su un nuovo inquilino del Colle e così il tredicesimo Presidente della Repubblica finisce per essere il dodicesimo:quel Sergio Mattarella, che aveva implorato la classe politica di non richiamarlo.
Ma prima bruciano in un falò di veti incrociati un gran numero di nomi, molti ai vertici delle istituzioni del Paese, nel vano tentativo di individuare una figura super partes e di alto profilo. Dal premier al presidente del Senato, da ministri a presidenti della Consulta e del Consiglio di Stato, fino al Capo dei servizi segreti e ad ex sottosegretari, una lunga teoria di nomi per giorni entra ed esce dal toto-quirinale (che in verità registra sempre in testa l'auspicio di un Mattarella bis). E chi aveva sperato che il tetto di cristallo fosse sfondato al Colle dalla prima presidente donna, deve rassegnarsi a sentir dire dal leader 5s Conte che per stavolta «eccellenze femminili» non ce l'hanno fatta.
Sono inutilmente finite «nel tritacarne» - lo spiega il segretario leghista Salvini - profili del calibro di Elisabetta Belloni, ai vertici della diplomazia italiana e ora a Capo dei Servizi segreti italiani, della quale circolano per giorni curriculum ed immagini. Prima che venga smentita, dagli stessi che l'avevano annunciata, l'intesa sul suo nome. Un'altra Elisabetta, la Presidente del Senato Casellati, brucia in un autodafè che lascia in pezzi il centrodestra, già provato dalla autoesclusione del suo fondatore Silvio Berlusconi, la cui candidatura a lungo blocca l'inizio della corsa quirinalizia. A parole, per la novità di una donna al Quirinale si pronunciavano in tanti, ma poi escono subito di gara la Guardasigilli Marta Cartabia e la giurista Paola Severino, che a Via Arenula l'aveva preceduta. E viene bocciata anche l'ex ministro, ex sindaco di Milano, ex presidente della Rai e vicepresidente della Lombardia Letizia Moratti, nella terna del centrodestra. Quello che colpisce è la battaglia che si scatena su nomi ai vertici delle istituzioni. Non ne è esente neppure il premier Mario Draghi, sempre in testa alle previsioni di giornata, che andando al Colle avrebbe però aperto la ben più complessa partita della formazione di un nuovo governo di una rissosa maggioranza. E che ora olia l'intesa sul Mattarella bis con sagge parole: «resti, per il bene la stabilità del Paese».Viene eletto oggi all'unanimità presidente, ma della Corte Costituzionale, Giuliano Amato, anch'egli nelle rose dei quirinabili. E non la spunta Franco Frattini, presidente del Consiglio di Stato, boicottato dai veti così come un altro uomo di vertice, il fondatore della comunità di Sant'Egidio Andrea Riccardi. Non entra in partita Marcello Pera, ex Presidente del Senato e petalo con Moratti e Nordio della rosa del centrodestra. E restano solo ipotesi quelle del neo giudice della Consulta Filippo Patroni Griffi, dell'ex ministro Giulio Tremonti, dei magistrati Maddalena e Di Matteo, del raffinato giurista, ex ministro ed ex giudice costituzionale Sabino Cassese (che ineccepibilmente aveva osservato «le cariche pubbliche non si sollecitano e non si rifiutano»). Esce di scena con eleganza anche uno dei pochi candidati puramente politici della corsa quirinalizia, il centristra Pierferdinando Casini. Che fino all'ultimo è in partita e se ne va da galantuomo, per fare posto al Presidente Mattarella.
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