«Qui il lavoro, ma il cuore e il pensiero sono con i nostri cari»
Halyna Tkachenko ieri mattina è arrivata in ritardo al lavoro. Non era mai successo: ha aperto trafelata la porta della casa in cui ogni giorno fa le pulizie, in una mano il cellulare, nell’altra i bidoni della differenziata, svuotati durante la notte. È di Leopoli, Ucraina, ma da dieci anni fa la colf per due famiglie bresciane: al mattino da una, nella zona nord della città, al pomeriggio in centro storico. Da lì, alle 19, prende la metro per andare a pulire gli uffici di un palazzone a Brescia due.
«Io l’avevo detto, a mio figlio e a mia nuora, di scappare via, ma loro non mi hanno ascoltata - si rammarica -, mi assicuravano che la situazione era tranquilla. Invece adesso devono pensare a mettere in salvo i bambini piccoli». Halyna, con la figlia Mariana, risiede stabilmente nella nostra provincia da tempo, mentre il primogenito Roman è rimasto in Ucraina, dove fa il carabiniere: «Ormai non gli chiediamo nemmeno più com’è lì, le chiamate sono intercettate e non potrebbe dirci la verità».Anche Halyna Malyshko, in Italia dal 2004, è preoccupata per i familiari: «Lì ho due figli e tre nipoti piccoli, e la mamma anziana. Dove sono loro non ci sono ancora stati spari o bombardamenti, ma la cosa brutta è che nessuno può scappare, lì c’è tutto quello che abbiamo, uomini e ragazzi sono obbligati a restare per fermare l’invasione, ma se anche mia figlia e i bambini venissero in Italia, probabilmente dovrei tornare io per occuparmi di mia madre, impossibile sradicarla alla sua età». Eppure nemmeno qui a Brescia, per Halyna, gli ultimi tempi sono stati facili: «Lavoravo come badante - spiega la donna -, però gli anziani che assistevo sono venuti a mancare e con la pandemia non ho più trovato lavoro. Per fortuna ho mio marito, ma sto cercando un impiego, magari come colf o baby-sitter, visto che in Ucraina insegnavo e anche qui in Italia ho lavorato nelle scuole del sabato, quelle in cui mandiamo i nostri bambini emigrati per non far perdere loro la lingua e le tradizioni d’origine».
«Sono sveglia dalle 3 - dice Nadiya Vyhnanets -, da quell’ora il mio cellulare ha iniziato a riempirsi di messaggi, erano amici e parenti che scrivevano: "La guerra è iniziata"». Nadiya lavora da 11 anni come collaboratrice domestica a Borgosatollo, ma ha lasciato in Ucraina buona parte della famiglia: «I più vivono nella zona occidentale, a pochi chilometri dalla Polonia, area per ora non colpita, ma il nipote di mio marito è a Vinnytsia, che è stata bombardata. Lui vuole rimanere lì e far andare la moglie e i bambini verso la Polonia».
Per restare o per scappare, perché non è ancora chiaro se, quante e quali persone potrà accogliere la Polonia. Così intanto le prime a essere prese d’assalto sono le farmacie e sembra quasi un ricordo dolce quando il motivo delle lunghe code erano tamponi e mascherine. Poi gli alimentari, ma in tanti avevano già fatto rifornimenti nei giorni scorsi, munendosi di cibo in scatola, farina, cereali, carta igienica e altri beni di prima necessità. Non da ultimi i distributori di benzina, dove le macchine restano in coda anche due ore per fare il pieno di carburante, i cui prezzi sono decuplicati in 24 ore. Ai bancomat è possibile prelevare un massimo di circa 1.700 grivnie, circa 50 euro.
Nel frattempo gli aeroporti sono chiusi e anche chi volesse andare in Ucraina non può. Separazioni. Mamme separate dai figli, mogli dai mariti, ma anche ragazze e ragazzi nati in Ucraina ma cresciuti qua, dopo essere emigrati con i genitori. Tra loro il 33enne Roman Radaelli, arrivato a Brescia a 11 anni: «Nonostante abbia vissuto la maggior parte della vita in Italia non scordo da dove sono venuto. È successo quel che noi ucraini non volevamo credere e che cambierà la nostra vita».
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