Italia e Estero

Negoziati sul Recovery Fund, cosa sono i Frugali

L’attribuzione è del quotidiano Financial Times, che a metà febbraio, usò l'aggettivo «frugal» per indicare Austria, Danimarca, Olanda e Svezia
Il premier Giuseppe Conte a Bruxelles - Foto © www.giornaledibrescia.it
Il premier Giuseppe Conte a Bruxelles - Foto © www.giornaledibrescia.it
AA

«Parco, sobrio, spec. nel mangiare e nel bere». È questa la definizione da dizionario dell’aggettivo frugale, che, negli ultimi giorni, in tema di Recovery Fund si sente abbinato al plurale al gruppo di Paesi europei formato da Austria, Danimarca, Olanda e Svezia. Ma perché sono definiti così?

L’attribuzione va ricercata nelle colonne del quotidiano finanziario britannico Financial Times, che a metà febbraio, ancor prima del Covid, riportò l'aggettivo inglese «frugal» per indicare i quattro Paesi (Austria, Danimarca, Olanda, Svezia) i cui premier scrissero al giornale la famosa lettera in cui vennero spiegate le ragioni del loro essere «frugal», ovvero parsimonioso in inglese. In Italia l’aggettivo è stato convertito con un aggettivo che richiama quello inglese, ma solo nel suono.

In ogni caso i premier dei Paesi frugali che insieme agli altri 23 dell’Unione Europea, per la prima volta da quando è iniziata la pandemia si sono riuniti di persona il 17 luglio i di persona, sono impegnati nell’impiego del Recovery Fund, il fondo da 750 miliardi di euro che dovrebbe far ripartire l'economia Ue dopo il Covid.

Ma i 27 primi ministri Ue non sono affatto d'accordo fra loro. Soprattutto non sono d'accordo sul modo in cui questi soldi vadano distribuiti. Vediamo le diverse posizioni.

I frugali (Austria, Danimarca e Svezia). Un blocco, quello formato dai governi dell'Aja, Copenaghen, Stoccolma e Vienna con l'aggiunta di Helsinki, compatto nel chiedere una riduzione dei sussidi a fondo perduto rispetto ai 500 miliardi previsti dal Recovery Fund e un taglio ulteriore, per farlo scendere da 1074 a 1050 miliardi, del bilancio 2021-2027 dell'Ue.

Mentre Angela Merkel cerca di riservare a se stessa e alla Germania il ruolo di mediatrice - istituzionalmente affidato al presidente del Consiglio Europeo, il belga Charles Michel - Francia, Italia, Spagna e Portogallo formano quel Club Med che sostiene a spada tratta l'esigenza di puntare su soluzioni che siano il più possibile coraggiose e ambiziose.

Ci sono poi i due principali esponenti del gruppo di Visegrad, ovvero Ungheria e Polonia, che guardano più che altro al mantenimento delle loro fette (molto generose) di fondi strutturali. Ma soprattutto, e qui Budapest è in prima linea, chiedono di farla finita con questa spada di Damocle dell'articolo 7 con cui l'Ue minaccia di punirli per il non rispetto delle regole dello stato di diritto. A imbrogliare la matassa del negoziato ci sono anche gli scontri interni alle famiglie politiche. Mark Rutte fa parte di quella liberale (Renew Europe), ovvero la stessa del nemico spendaccione Emmanuel Macron.

I premier socialdemocratici di Svezia e Danimarca, Stefan Loefven e Mette Frederiksen, fanno parte dei socialisti europei insieme allo spagnolo Pedro Sanchez, al portoghese Antonio Costa e a quel Pd che governa in Italia con il M5s. E nei popolari (Ppe) l'austriaco Sebastian Kurz e l'ungherese Viktor Orban coabitano con Angela Merkel, il greco Kyriakos Mytsotakis e il polacco Donald Tusk, presidente del Ppe.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

Condividi l'articolo

Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato