Italia e Estero

Mottarone, il gestore: «Incontrerò le famiglie delle vittime»

Luigi Nerini, tornato a casa dopo il carcere: «Non ho mai risparmiato sulla sicurezza, pago 127mila euro all'anno per la manutenzione»
Luigi Nerini, il gestore della funivia precipitata - Foto Ansa/Tino Romano © www.giornaledibrescia.it
Luigi Nerini, il gestore della funivia precipitata - Foto Ansa/Tino Romano © www.giornaledibrescia.it
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Luigi Nerini, il gestore della funivia, lo ripeteva in carcere: «Non ho mai risparmiato sulla sicurezza, pago 127mila euro all'anno per la manutenzione. Voglio incontrare i familiari delle vittime, metterò a disposizione tutto quello che ho per risarcirli». Il gip Donatella Banci Buonamici, facendolo tornare a casa sabato notte, ha riconosciuto che mancavano «totalmente» indizi a suo carico e soprattutto che non avrebbe avuto alcun interesse «economico» ad avallare la «prassi» di disattivare il freno d'emergenza per mandare avanti la funivia del Mottarone, anche perché la stagione doveva di fatto ancora iniziare. Così Nerini può confidare alle persone più vicine che spera che adesso le «responsabilità vengano individuate correttamente».

Un pensiero che lo accomuna a un altro dei tre fermati che ha potuto riabbracciare i suoi familiari dopo quasi 4 giorni passati nel carcere di Verbania e ad una settimana esatta da quel sconvolgente incidente costato la vita a 14 persone. «Sono contento di essere tornato libero, ma sono disperato per le vittime», ha raccontato Enrico Perocchio, direttore di esercizio della funivia, dipendente Leitner, società a cui Nerini versava da contratto quei quasi 130mila euro annui. Perocchio che, come emerge da diverse testimonianze agli atti, aveva avuto pure qualche dissapore col titolare della funivia. Tanto più che Nerini, davanti al gip, ha indicato come soggetti «responsabili della sicurezza» proprio lui e Gabriele Tadini, il caposervizio che ha confessato l'uso dei «ceppi» che hanno impedito al freno di scattare sul cavo portante, quando la fune traente si è spezzata facendo volare via la cabina. Loro due, ha detto, si dovevano occupare di «manutenzioni» sulla base di un decreto legislativo su cui ha puntato la difesa (col legale Pasquale Pantano), in un interrogatorio in cui non sono mancate frizioni. Non spetta all'imprenditore, che deve occuparsi «degli affari della società».

Nerini, 56 anni, ha resistito solo poche ore nella sua Villa Claudia, senza citofono al cancello, a Baveno, bella cittadina sulla sponda del lago Maggiore dove sono tornati i turisti, anche in vista del ponte del 2 giugno. Se ne è andato a bordo di un suv in tarda mattinata, dopo aver detto ai cronisti di allontanarsi perché non voleva parlare. Mentre a Stresa proprio alle 12, come in tutta la regione, veniva osservato un minuto di silenzio. E se tra i suoi vicini c'è chi dice che «non poteva non sapere perché è il padrone» e chi lo descrive come una «brava persona», per ora restano ferme le parole del gip che ha bollato come «suggestive supposizioni» gli elementi portati dalla Procura a suo carico. Procura che nella richiesta di custodia in carcere aveva evidenziato come anche in un'altra «attrazione» in cima al Mottarone, una pista su rotaia, la Alpyland, sempre gestita da Nerini, si siano verificati due incidenti che hanno provocato «lesioni». Mentre ora trapela che l'attenzione degli inquirenti sarebbe concentrata anche su presunte irregolarità fiscali, vale a dire migliaia di ingressi senza battere gli scontrini.

L'unico dei tre fermati che non è stato rimesso in libertà - essendo tornato sì a casa, ma ai domiciliari - è Tadini, perché solo su di lui al momento ci sono le prove, scrive il gip, di una condotta che denota «spregio per la vita» e una «leggerezza sconcertante». Per il giudice avrebbe avuto il potere di fermare l'impianto, dato che lamentava anomalie ai freni e il fatto che la cabinovia si bloccava, senza dover ricorrere ai forchettoni. In 15 giorni «tra l'8 maggio e il 23 maggio li ho utilizzati una decina di volte», ha messo a verbale, difeso dal legale Marcello Perillo. Secondo una testimonianza, avrebbe iniziato dal 26 aprile. Di fatto, però, sostiene, «lo sapevano tutti».

A Perocchio, ha fatto mettere a verbale Nerini, «ho detto che andavo avanti coi forchettoni e lui non mi ha risposto» e «l'ho detto anche a Nerini che mettevo i ceppi» e il gestore dell'impianto «mi diceva "arrangiati"». Agli atti diversi dipendenti lo smentiscono sostenendo che fosse lui e solo lui a dare «l'ordine», tranne uno che per il gip doveva già essere stato indagato perché avrebbe potuto «rifiutarsi» di disabilitare il sistema d'emergenza. «L'errore è stato mettere i forchettoni per ovviare ad un problema che si sarebbe risolto», ripete Perocchio, difeso dall'avvocato Andrea Da Prato.

 

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