Mandato di arresto per il bresciano «mercenario» nel Donbass
Massimiliano Cavalleri, detto «Spartaco». Quarantadue anni, bresciano di Palazzolo, di casa a Cologne. É lui uno dei tre combattenti nel Donbass, Ucraina orientale, accusati ora nell'ambito di un'inchiesta della Procura di Genova di essere reclutatore di mercenari. E come tale colpito da un'ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip, con relativo mandato di arresto europeo. Si dice apertamente neo fascista. In una intervista aveva dichiarato che ogni volta che sparava a un soldato ucraino immaginava di colpire uno dei politici di Bruxelles. Cavalleri è stato ferito tre volte in combattimento, ma non in modo grave.
Nelle interviste, reperibili anche in rete, assicura di combattere non solo per la causa dei ribelli filorussi in terra ucraina (sulla sua pagina Facebook mostra con orgoglio il passaporto ottenuto quale cittadino della Repubblica di Donestk dopo 4 anni di combattimenti), ma anche per l'Italia («Quando non ci sarà più da mangiare si accorgeranno anche da noi come vanno le cose...»). E ancora: «Prima di arrivare nella Repubblica di Lugansk ero nella Repubblica di Donetsk a Donetsk. Ho combattuto all’aeroporto per cinque mesi. Là si sparava bene o male tutti i giorni, con fucili, artiglieria, carri armati… Si sparava con tutto, là».
L'inchiesta vede al centro una rete di neonazisti e estremisti di sinistra insieme, fianco a fianco e armi in pugno. L'ideologia che accomuna gli opposti schieramenti porta a Donbass, in Ucraina, dove ex poliziotti ed ex carabinieri, ultrà e simpatizzanti della Lega diventano contractor con i kalashnikov in mano per estirpare il «cancro americano» nel nome della visione eurasiatica celebrata dal filosofo russo Alksandr Dugin, detto il «Rasputin» di Putin. I carabinieri del Ros di Genova, coordinati dal procuratore capo Francesco Cozzi e dal sostituto Federico Manotti della direzione distrettuale, hanno sgominato una banda di mercenari combattenti tra le milizie filorusse. Tre persone sono state arrestate, mentre per altre tre (tra cui il bresciano Cavalleri appunto), irreperibili perché ancora impegnate sul fronte ucraino orientale) è scattato il mandato di arresto europeo, sette persone sono state perquisite.
Un totale di 15 indagati, a vario titolo per associazione a delinquere, combattimento e reclutamento. I tre arrestati sono Antonio Cataldo, operaio, già catturato in Libia nell'estate 2011 dalle forze di sicurezza dell'allora regime con due connazionali che lavoravano come contractor. Con lui è stato arrestato Olsi Krutani, un albanese sedicente ex ufficiale delle aviotruppe russe, istruttore di arti marziali, operatore informatico e Vladimir Vrbitchii, detto "Parma", operaio di origine moldava, aspirante legionario. La mente politica sarebbe, secondo gli investigatori, Krutani mentre il braccio operativo è Andrea Palmeri, ex ultrà di Lucca, estremista di destra.
Le indagini sull'organizzazione di reclutamento di mercenari sono state avviate nel 2013 sull'area skinhead ligure. Il capo di Ligura Skin, Renato Zedde, è indagato insieme a altri 4 liguri per odio razziale nell'ambito di un'indagine su scritte neonaziste tracciate sui muri alla Spezia. Sono loro che hanno i contatti con uno degli indagati ma anche con Palmeri e che organizzano nel 2014 a Lavagna un incontro con Millennium Pec dove si parla appunto della situazione a Donbass.
È proprio l'associazione Millennium, secondo gli inquirenti, che sarebbe dietro al reclutamento dei mercenari. Una organizzazione che raccoglie beni e medicinali da mandare in Ucraina ma che in realtà cerca in Italia combattenti da mandare a Donbass. Chi finanzi Millennium è un mistero, ma gli inquirenti contano di poter fare luce attraverso l'analisi dei movimenti bancari. Ci sarebbero anche contatti con il sodalizio pro-russo Essenza del tempo, e con Alexey Milchakov, comandante neonazista dell'unità paramilitare Rusich.
Secondo i militari del Ros, i combattenti avrebbero ricevuto soldi, dai 400 ai 2.000 euro. I sei hanno negato di avere ricevuto denaro ma nel corso delle interviste a trasmissioni televisive avrebbero parlato di rimborsi spese. Di soldi, gli indagati parlano anche al telefono: c'è chi si lamenta della paga troppo bassa, chi è contento di avere ricevuto gli arretrati. Prove che dimostrerebbero, appunto, che la guerra civile per cui hanno lasciato l'Italia non era stata dettata solo dall'ideologia.
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato