L’ammissione: «Sul coronavirus c’è stata impreparazione»
Impreparati di fronte all’arrivo del coronavirus. Lo dice il collasso del sistema sanitario già provato dai tagli, lo dicono i numeri dei contagi e dei decessi, peraltro parziali, e ora lo ammette anche il Comitato tecnico scientifico che in queste settimane sta supportando la gestione dell’emergenza sanitaria in Italia. L’atteggiamento è però autoassolutorio.
«C'è stata una impreparazione inevitabile iniziale - ha dichiarato Luca Richiedei del Comitato tecnico scientifico durante la conferenza stampa della Protezione civile -: i primi dati molecolari ci dicono che circolasse in Italia i primi giorni di gennaio e il primo caso diagnosticato è del 20 febbraio. Eravamo impreparati, non è colpa di nessuno ed è inutile recriminare». «Ci siamo trovati di fronte a una situazione senza precedenti, a un virus sconosciuto fino a 3 mesi fa».
Richiedei non ha però spiegato come mai il Comitato, di cui fanno parte rappresentanti dello Spallanzani di Roma, della Protezione civile del ministero della Salute, dell’Istituto superiore di sanità e della conferenza delle Regioni, abbia deciso di ignorare la nota dello stesso Iss che chiedeva l’istituzione di zone rosse a Orzinuovi, Nembro e Alzano Lombardo, centri individuati come nuovi focolai dopo quelli nel Lodigiano. Il documento dello scorso 2 marzo è stato messo da parte, con conseguenze che vediamo chiaramente: a Orzinuovi i contagi ufficiali sono 179, con 41 decessi, anche se complessivamente a marzo ci sono più di settanta persone morte, il quadruplo dell'anno scorso, senza indicazioni chiare sulle cause. I tamponi, come sappiamo, vengono fatti solo a un numero limitato di persone, vale a dire gli ospedalizzati.
Sul tema della mancata istituzione di una zona rossa a Orzinuovi è ora il sindaco Gianpietro Maffoni a volerci vedere chiaro. Maffoni annuncia un’interrogazione al Ministero della salute per capire come mai l’indicazione dell’Istituto superiore di sanità sia stata ignorata.
Tornando al Comitato tecnico scientifico, l’impreparazione di cui parla Richiedei contrasta poi con il fatto che lo stato di emergenza sia stato dichiarato dal Governo il 31 gennaio e che l’epidemia in corso in Cina fosse nota dalla fine di dicembre. A fine febbraio, il sistema sanitario italiano è stato travolto dall’ondata di pazienti positivi, con pesanti ricadute anche sul personale sanitario, medici, infermieri e non solo, tra cui si contano migliaia di contagi a livello nazionale e oltre quarante decessi: non c’è stato il tempo di preparare una risposta d’emergenza, tutelando innanzitutto quella che sarebbe diventata la prima linea? Sono gli stessi medici a chiederselo, sottolineando anche come i bollettini quotidiani su contagi e decessi raccontino solo una parte della realtà.
«Non vorremmo che la confusione sui dati servisse a nascondere la responsabilità dei generali nella Caporetto della sanità pubblica italiana», afferma Paola Pedrini, segretario della Federazione italiana medici di medicina generale (Fimmg) della Lombardia. «È vero, le richieste dei pazienti ai medici di famiglia, almeno in Lombardia, sembra si stia riducendo, ma siamo molto preoccupati che questa notizia tragga in inganno l'opinione pubblica. Sta passando un messaggio sbagliato, veicolato anche da alcuni dirigenti delle aziende sanitarie: diminuiscono gli accessi al pronto soccorso, quindi la gente ha paura di andarci o i medici di famiglia li mandano troppo tardi».
«È assolutamente chiaro - aggiunge Pedrini - che la gente ci andrebbe al volo in ospedale quando sta male, ma i servizi di emergenza urgenza non ce la fanno a garantire tutti i ricoveri perché posti comunque non ce ne sono: i letti non si liberano. Il ragionamento è un altro: prima si facevano i tamponi solo ai ricoverati, da qualche giorno si fanno ai ricoverati e agli operatori sanitari sintomatici, che sono quasi tutti ovviamente positivi anche se con pochi sintomi. Questo ha creato un dato di positivi non ricoverati sul territorio che prima non esisteva, numeri falsi perché riferiti ai soli operatori sanitari e non alla popolazione intera. A questi numeri possiamo eventualmente aggiungere qualche tampone di controllo ancora positivo fatto ai dimessi convalescenti. Ci chiediamo - conclude -se chi gestisce i numeri è solo incompetente, se vive in un universo parallelo o se ci sta marciando».
Nel bilancio della gestione dell’emergenza pesano anche le divisioni tra le Regioni, tanto che il sindaco di Brescia, Emilio Del Bono, è arrivato a chiedersi se esista ancora un sistema sanitario nazionale. Il primo cittadino ha ribadito in televisione, a Che tempo che fa, le richieste di una città e di una provincia stremata: medici, aiuti dagli ospedali fuori dalla Lombardia, tamponi per chi è a casa malato e dispositivi sanitari come le bombole di ossigeno. Richiedei sostiene che sia inutile recriminare, ma come ormai viene sottolineato da più parti, dalle istituzioni locali a chi combatte il virus negli ospedali, quanto fatto finora non basta.
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