La scuola resta un rebus, i protocolli saranno riscritti
Numeri e vaccini. Per garantire la presenza in sicurezza a scuola, come auspicato dallo stesso ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi, sarà necessario rimettere mano ai protocolli sulla didattica a distanza, eliminando la distinzione tra vaccinati e non vaccinati e aumentando la soglia di casi positivi oltre la quale si finisce a casa.
Sembra questa la linea che si appresta ad adottare il governo nel Consiglio dei ministri di oggi, anche se resta ancora in piedi la proposta di alcune regioni - Campania in primis - di far slittare la riapertura delle scuole e contenere dunque l’ondata del virus. Dirimente, secondo i governatori, potrà essere solo un parere del Comitato Tecnico Scientifico. «Deve essere la comunità scientifica - afferma il presidente del Veneto, Luca Zaia - a certificare la possibilità» di riaprire le scuole il 10 gennaio: «L’anno scorso si è andati a sensazione, oggi è giusto essere severi, dopodiché tutti tifiamo per riaprire».E sul rientro sembra essere aperto lo scontro tra i sindacati e il ministero, accusato di «sgarbo istituzionale» per non aver portato al tavolo le misure previste per il ritorno in classe. La Cgil è stata dura: «È molto grave visto che governo e ministero non hanno messo in campo nessuna adeguata strategia per contrastare l'espandersi prevedibile del contagio nelle scuole». Esprimono «preoccupazione» anche i presidi che sposano la proposta delle Regioni di rivedere i protocolli sulle quarantene.
La fascia che tiene più in apprensione sia palazzo Chigi che i governatori è quella tra i 5 e gli 11 anni, quella cioè che per ultima è entrata nella campagna vaccinale. E così - è la proposta delle Regioni - alle scuole dell’infanzia si finirebbe in quarantena per sette giorni con un solo caso, mentre per le elementari e la prima media la quarantena e l’interruzione della frequenza si avrebbero se ci sono almeno due contagiati.
Nel caso di un solo positivo si attiva l’autosorveglianza, con la raccomandazione di astenersi dalla frequentazione di ambienti differenti dalla scuola, senza testing. Per le scuole secondarie di primo (per i soggetti di età uguale o superiore ai 12 anni) e secondo grado, lo stop alla frequenza e la quarantena scatterebbero con un minimo di 3 casi. L’ultima parola, ribadiscono i governatori, dovrà però essere quella del Cts che in qualche modo dovrà garantire sulla stabilità sanitaria di tali decisioni.
Le questioni messe sul tavolo sembrano trovare d’accordo anche palazzo Chigi che già domani potrebbe dare il via libera alle nuove procedure. Nell’incontro di ieri (preparatorio per il Consiglio dei ministri di oggi) tra il premier Mario Draghi e i ministri della Salute, Roberto Speranza, e dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, è stata ribadita la volontà di preservare quanto più possibile le lezioni in presenza rivedendo il numero di contagi che fa scattare la Dad per tutta la classe. Lo stesso Bianchi, durante l’incontro con i sindacati, ha sottolineato che la scuola sarà «in presenza e in sicurezza».
Parole che trovano d’accordo i presidi e un po’ meno alcune sigle sindacali, tra cui l’Anief, secondo la quale il ritorno in presenza «è folle». «L’anno scorso - spiega il presidente, Marcello Pacifico - con una curva di contagi dieci volte inferiore si ritornava al 50% a fare la didattica a distanza. Quest’anno con i casi in crescita esponenziale decidiamo che i contatti stretti non contano più nulla».
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