Italia e Estero

La bufera sui migranti con i conti pubblici sott'acqua

Il governo alza l'asticella dello scontro sui migranti, con sullo sfondo l'ipotesi di uno strappo definitivo con l'Europa sui temi economici
Di Maio e Salvini con il premier Conte - Foto Ansa/Angelo Carconi
Di Maio e Salvini con il premier Conte - Foto Ansa/Angelo Carconi
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Il governo italiano alza l’asticella dello scontro sui migranti con l’Europa per nascondere le oggettive difficoltà di predisposizione del Def, ma soprattutto della futura legge di Bilancio. La questione migratoria in questi giorni ha tenuto banco per un fatto di per sé insignificante.

Sembra assurdo infatti che 150 persone su una nave della Guardia costiera possano tenere in scacco la politica europea e addirittura mettere a repentaglio i rapporti tra Roma e Bruxelles, con tanto di minaccia da parte italiana di non stanziare i 20 miliardi di euro di contributi all’Unione. Quest’ultima un’arma spuntata perché se così fosse l’Italia non potrebbe, in linea teorica, più accedere ai fondi Ue. Sorge dunque il legittimo sospetto che dietro una polemica quasi assurda, nel momento, in cui non siamo più in presenza di un’emergenza immigrazione, serva per distogliere l’attenzione da altro e da progetti spericolati di breve ma anche di lungo periodo. L’esecutivo pentaleghista, che oggi veleggia (giusto per rimanere in tema di navi) con un consenso complessivo del 60 per cento, ha la necessità di mantenere alta la tensione e confermare il gradimento dei propri elettori. 

Per questo deve confermare subito tutte le promesse fatte in campagna elettorale. Così i due provvedimenti di bandiera - la flat tax leghista e il reddito di cittadinanza pentastellato - in qualche modo compariranno entrambi nel prossimo Def e faranno capolino nella prossima legge di Bilancio e probabilmente potrebbe essere aggiunta anche una correzione alla legge Fornero (anche se astutamente i gialloverdi ne parlano sempre meno). La verità è che i soldi per realizzare entrambe le misure non ci sono e curiosamente anche leghisti e pentastellati ora hanno iniziato a invocare maggiore flessiblità da parte dell’Europa (dopo aver contestato per anni sia Renzi sia Gentiloni proprio per questo motivo).

Così all’interno dello stesso esecutivo all’intransigenza di Di Maio e Salvini fanno da contraltare il pragmatismo di Moavero che cerca di mantenere rapporti civili con i partner europei e la solidità di Tria che in più di un’occasione ha chiarito che flat tax e reddito di cittadinanza saranno introdotti solo se non andranno ad incidere sul rapporto deficit/Pil e non balcanizzeranno i conti dello Stato. Non sono di questo avviso i due vicepremier. In particolare Salvini, ben cosciente dell’impossibilità di realizzare tout court quanto promesso, ha ingaggiato a suon di dirette facebook e tweet da inizio agosto una sua personale battaglia comunicativa contro degli indefiniti poteri forti, incarnati da banchieri, finanzieri ed euroburocrati che sarebbero nemici del governo del cambiamento e starebbero già speculando sull’Italia.

Per queste ragioni lo spread sarebbe in crescita, i nostri titoli di Stato sarebbero appetibili solo con un tasso d’interesse più alto e la Borsa di Milano avrebbe vissuto giornate in rosso. Purtroppo il punto è un altro, ovvero che gli investitori valutano da un lato la sostenibilità del nostro debito e dall’altro la praticabilità delle nostre politiche economiche (che sono indirettamente connesse al suddetto debito). Si tratta di due aspetti che preoccupano: il primo perché lo stesso Salvini ha annunciato l’intenzione di voler promuovere politiche sforando i parametri del deficit, il secondo perché appunto se la Legge di bilancio contenesse tutto ciò che Lega e M5S hanno promesso di fare allora l’Italia imboccherebbe una china pericolosa dal punto di vista economico-finanziario. Il che avrebbe un senso se davvero l’obiettivo finale gialloverde fosse consumare lo strappo definitivo con l’Europa, lo scenario del cigno nero evocato dal ministro Savona un paio di mesi fa: una situazione nella quale non saremmo noi ad andarcene ma sarebbe Bruxelles a spingerci fuori dall’eurozona.

Uno scenario che qualcuno vorrebbe usare per scopi elettorali magari in vista delle prossime Europee, ma che porterebbe l’Italia in un territorio sconosciuto. Due campanelli d’allarme in questo senso: Savona ha immaginato che i titoli di Stato una volta terminato il quantitative easing della Bce potrebbero essere acquistati dalla Russia, mentre il ministro Tria vola in Cina a caccia di capitali e investitori interessati al debito italiano. E se davvero qualcuno stesse immaginando un piano d’uscita dall’Unione europea? Sarebbe bene iniziare a preoccuparsi.

 

 

 

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