Italicum, oggi la prima fiducia. Renzi: basta rinvii
Se l’Italicum non passa il governo va a casa. Lo ribadisce il premier Matteo Renzi in una lunga lettera alla Stampa, in prima pagina sul quotidiano torinese, in cui si dice pronto a discutere sul Senato, ma adesso basta con la melina. E rimarca che se la legge elettorale viene approvata vuol dire che il Parlamento vuole continuare le riforme. Un ultimo appello prima delle votazioni alla Camera, previste da oggi pomeriggio.
«Dopo aver fatto modifiche, mediato, discusso, concertato, o si decide o si torna al punto di partenza. Se un Parlamento decide, se un governo decide, questa è democrazia, non dittatura», ha aggiunto Renzi. «Con lo scrutinio palese - spiega il premier - imposto dal voto di fiducia, i cittadini sapranno. Sapranno chi era a favore, chi era contro. Tutti si assumeranno le proprie responsabilità. Il tempo della melina e del rinvio è finito. C’è un Paese che chiede di essere accompagnato nel futuro, sui tempi più importanti della vita delle famiglie. Se non riusciamo a cambiare la legge elettorale dopo averlo promesso ovunque, come potremo cambiare il Paese»? Renzi, ha aggiunto che «la politica ha il compito di dimostrare che può farcela senza farsi sostituire da governi tecnici e dalle sentenze della Corte».
"L’Italicum - ha detto ancora Renzi - non sarà perfetto come nessuna legge elettorale è perfetta. Ma è una legge seria e rigorosa che consente all’Italia di avere stabilità e rappresentanza, che cancella le liste bloccate, che impone la chiarezza dei partiti davanti agli elettori. Soltanto uno potrà dire di aver vinto: non come adesso quando, dopo i primi risultati, tutti affollano le telecamere per cantare il proprio trionfo».
Pesanti però restano le reazioni alla decisione del premier di porre la fiducia sul voto all’Italicum. A partire dall’opposizione: Roberto Fico (M5S) afferma che così «il priemier ha chiuso con il Parlamento: non vedo perché il Parlamento non dovrebbe chiudere definitivamente con il premier non votando la fiducia al governo». Ma anche con esponenti del centrodestra, come la deputata Fi Michaela Biancofiore: «In queste ore le opposizioni unite contro la deriva antidemocratica presa dal governo Renzi stanno discutendo se partecipare o meno ai lavori d’aula. Ritengo sinceramente che il momento sia talmente grave, con l’imposizione di una legge elettorale che porta alla secessione politica del Trentino Alto Adige e della Valle d’Aosta, che cancella la separazione dei poteri di montesquiana memoria, concentrandoli nelle mani di un solo uomo, che più che salire sull’ Aventino le opposizioni debbano salire nella piazza del Quirinale». «Pensierino del mattino: chi ridicolizza quel che sta succedendo con deriva autoritaria Renzi è di fatto colluso. Come con fascismo», twitta da parte sua Renato Brunetta, capogruppo di Forza Italia a Montecitorio.
Ma anche all’interno del Pd le cose non vanno certo bene. C’è anzitutto chi fa la conta dei voti come l’esponente della minoranza Pd Stefano Fassina: «Non so quanti saremo precisamente a non votare la fiducia, perché ci sono colleghi che stanno ancora riflettendo, ma credo che alla fine dovremo essere un gruppo numeroso, probabilmente più di trenta. Oltre alla quantità va considerata la rilevanza politica di chi non voterà: l’ex segretario, l’ex presidente, l’ex primo ministro, i due sfidanti alle primarie e l’ex capogruppo del Pd». E sono proprio le parole dell’ex segretario Pier Luigi Bersani a fare più rumore: «Io non esco dal Pd, bisogna tornare al Pd. Il gesto improprio di mettere la fiducia lo ha fatto Renzi, non io. È lui che ha fatto lo strappo». Parole che smentiscono lo spettro della scissione da parte di chi non voterà la fiducia sull’Italicum. Non senza stoccate amare: «Si ricordano degli ex leader per chiedere loro lealtà solo quando si tratta di votare queste fiducie, non quando rimuovono dalla commissione o non ti invitano alle feste».
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