Italia e Estero

«In Brasile rischia la morte»: protezione speciale per una trans 50enne

In passato era stata condannata per rapina e danneggiamento: accolto il ricorso dopo il no della Commissione per la protezione internazionale
Il Palazzo di giustizia di Brescia - New Eden Group © www.giornaledibrescia.it
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L’ultima volta che è stata in Brasile è dovuta scappare dal padre e dal fratello che la volevano uccidere. Non riconoscevano e non accettavano quella persona che era partita uomo con il nome di Marcos a 13 anni per l’Italia ed era tornata donna.

È la storia di Adriana, trans brasiliana di 50 anni, nata e cresciuta a Monsenhor Tabosa (Fortaleza), residente in provincia di Bergamo dove dal 2019 è unita civilmente con un uomo e alla quale il tribunale di Brescia ha riconosciuto la protezione speciale ribaltando la decisione della Commissione per la protezione internazionale di Brescia, che aveva negato il provvedimento così come già aveva fatto la Questura di Bergamo, che l’aveva espulsa perché irregolare sul territorio nazionale.

«In caso di rimpatrio teme di subire torture e maltrattamenti finì ad essere uccisa dai familiari che, ancora oggi, non accettano la richiedente per quello è» ha riconosciuto il tribunale. «È bene prendere in considerazione i rischi che la ricorrente correrebbe in caso di rientro nel suo paese di origine, non solo da parte dela famiglia ma anche da parte della società civile in cui si troverebbe a vivere» scrivono i giudici che ricordano come il Brasile sia «il Paese con il maggior numero di transessuali uccisi ogni anno, primato che mantiene da 13 anni».

Adriana da anni vive in Italia in modo illegale, ha abitato a lungo a Ravenna dove si era prostituita per sua scelta. Il punto più basso lo ha toccato con la detenzione in carcere, per una condanna definitiva a quattro anni e quattro mesi per rapina e danneggiamento. Dal 2015 è libera, scarcerata per buona condotta sette mesi prima del termine della pena. Ha ricostruito la propria vita, ha iniziato a lavorare come badante, abbandonato per sempre la strada, e si è unita civilmente con un uomo di Bergamo. Per la Commissione il suo passato è però un peso ed è determinante per non concedere alla trans la protezione. Il tribunale di Brescia ha invece accolto il ricorso dall’avvocato Stefano Afrune, sostenendo che: «I fatti penali risalgono al 2012, successivamente non sono stati commessi altri illeciti e la ricorrente ha reperito lecite attività lavorative» con tanto di stipendi allegati al ricorso. E per il giudice bresciano Christian Colombo della Sezione Immigrazione, Protezione Internazionale e Libera Circolazione dei Cittadini dell’Unione europea «mancano ragioni per negare alla ricorrente il soggiorno in Italia mentre un eventuale rimpatrio si porrebbe in aperto contrasto con il diritto tutelato dall’art. 8 CEDU», oltre al fatto che «la pericolosità dello straniero, ipotizzata dalla commissione di reati, va bilanciata con la tutela della vita familiare».

Soddisfatto il legale: «La vicenda testimonia al di là del risultato il ruolo del giudice nel sistema italiano quale presidio e baluardo del diritto soggettivo» commenta l’avvocato Stefano Afrune. «Personalmente - conclude - esprimo soddisfazione per l’assistita che può porre un lieto fine e lasciarsi alle spalle le vicende del passato».

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