Il Rocci, il vocabolario di greco che ha formato generazioni
Intere generazioni di liceali hanno sudato sulle pagine di quel tomo dall’immutabile copertina blu, imprecando perché al vocabolo misterioso non corrispondeva quasi mai una sola traduzione indiscutibile. Erano le sfumature a dominare, tanto da segnare spesso la svolta decisiva nella versione maledetta. E solo con la maturità hanno scoperto che quello era il segreto della vita: saper interpretare il contesto.
«Il Rocci» è stato (lo è ancora per molti) un pilastro della formazione culturale classica: il dizionario di greco per antonomasia. Eppure il suo autore sembra avvolto nelle nebbie dell’oblio. Solo l’Osservatore Romano lo ha ricordato in questi giorni, a settant’anni esatti dalla morte, avvenuta la vigilia di Ferragosto del 1950. E anche da questa «sfumatura» si potrebbe ricavare una lezione.
L’autore, Lorenzo Rocci, era un personaggio di rara forza. Nato a Fara in Sabina nel settembre del 1864, nel 1890 si laurea alla Regia Università di Roma. La commissione che gli dà il massimo dei voti e la lode è presieduta da Giosuè Carducci: una garazia, perché il poeta è nella sua fase anticlericale e il laureando è un gesuita convinto. Il giovane Rocci ama la ricerca lessicale e il greco antico. Vuole stilare un dizionario di greco, moderno e completo, il primo in Italia. L’opera gli costa 25 anni di lavoro duro e solitario. Carta e penna, compila schede su schede. L’aneddotica vuole che non si levi neppure il soprabito per non perdere tempo. Il suo dizionario alla fine conta 2.074 pagine, suddivise in 4.148 colonne.
Le prime copie escono nel 1939 e vengono consegnate al papa, al re e al duce: Vittorio Emanuele non batte ciglio, Pio XII si commuove e Mussolini cerca di farne uno strumento di propaganda. Lorenzo Rocci intanto continua a lavorare tra gli antichi vocaboli. Il suo dizionario diventa uno strumento insostituibile per chi studia il greco classico. I diritti d’autore - incalcolabili, viste le ripubblicazioni ininterrotte - sono serviti ai Gesuiti per finanziare borse di studio e opere missionarie. Padre Rocci «spira serenamente» a 86 anni. Raccontano che come ultimo desiderio abbia chiesto un toscano e se lo sia fumato in santa pace.
«Il Rocci», il tomo blu delle sudate fatiche, gli sopravvive alla grande: l’ultima edizione è del 2011. Dopo il Duemila, altri dizionari, frutto di ricerche raffinate con il supporto potente dell’informatica, stanno guadagnando terreno, ma «il Rocci» resta un punto di riferimento, il termine di paragone. Dicevamo che da questo dovremmo ricavarne una lezione: gli strumenti sono assai più importanti di ogni singolo risultato, vivono al di là della sorte del loro inventore, che spesso viene dimenticato. Senza strumenti non c’è progresso.
Ma «il Rocci» è uno strumento particolare, dalla forza segreta e potente. Da quasi un secolo aiuta intere generazioni di italiani a scoprire che il greco è la lingua generatrice della nostra civiltà, e non solo perché «dà il nome» a quasi tutto quel che conosciamo. Basterebbe pensare che sui nostri supporti più avanzati appaiono «icone» per orientarci, e che moltissimi concetti non sapremmo come esprimerli se non usassimo prefissi e suffissi che ci giungono dal greco antico. Ma in questo tesoro di concetti ed espressioni, Rocci ci insegna che il «vero significato» non è rigido, come spesso ci porta a credere la nostra lingua quotidiana semplificata, ma dipende da contesto e tempo, e che bisogna saper scoprire le possibili variazioni di senso e sfumature. Non ci sono solo il bianco e il nero, ma una incredibile gamma di paradigmi, di gradazioni, e solo così si può davvero conoscere la realtà.
Quel tomo dalla copertina blu, carico di lemmi d’una lingua considerata morta, nasconde una lezione vivissima: il senso vero è frutto d’una lunga e mai terminata ricerca. Sarebbe una lezione preziosa in questi tempi dove la volgarità viene scambiata per franchezza, lo slogan sostituisce il ragionamento, l’accuratezza rischia di essere derisa come sfizio da intellettuale e la precisione come inutile fronzolo di élites noiose. Duemila pagine di sfumature: così si impara a ragionare, e si colgono le vibrazioni della nostra esistenza.
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato