Italia e Estero

Il referendum sul taglio dei parlamentari del 20 e 21 settembre

In caso di approvazione, il numero dei parlamentari scenderà a 600, 400 alla Camera e 200 al Senato
La Camera dei Deputati - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
La Camera dei Deputati - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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Il 20 e 21 settembre si voterà il referendum confermativo sulla riforma costituzionale che taglia 230 seggi della Camera su 630 e 115 del Senato su 315: in caso di approvazione, il numero dei parlamentari scenderà a 600. Trattandosi di un referendum confermativo, non c’è quorum, non è prevista cioè una percentuale minima di partecipanti per rendere valido il risultato (fissata al 50% più uno in caso di referendum abrogativo). Possono partecipare tutti i cittadini italiani che abbiano compiuto 18 anni entro il 20 settembre 2020, sono necessari la tessera elettorale e un documento d’identità valido. Il voto era stato inserito in calendario lo scorso 29 marzo, ma l’emergenza Covid-19 ha reso necessario il rinvio a settembre, nei giorni in cui gli italiani saranno chiamati alle urne anche in sette regioni (Veneto, Campania, Toscana, Liguria, Marche, Puglia e Valle d’Aosta) e in 962 Comuni, tra cui ci sono anche otto centri bresciani. Ecco gli orari: 20 settembre dalle 7 alle 23, 21 settembre dalle 7 alle 15.

Questo il quesito sulla scheda: «Approvate il testo della legge costituzionale concernente "Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari», approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n.240 del 12 ottobre 2019?"».

Il riferimento è alla legge passata in quarta lettura a Montecitorio lo scorso ottobre con 553 voti a favore, 14 contrari e due astenuti. Nello specifico, il nuovo assetto contempla 400 seggi alla Camera e 200 al Senato, più un numero massimo di cinque senatori a vita (finora 5 era il numero massimo che ciascun presidente poteva nominare). Ridotti anche gli eletti all'estero: i deputati scendono da 12 a 8, i senatori da 6 a 4. In questo modo, cambierà il rapporto di rappresentanza, pari a un deputato per 151.210 abitanti (ora è 96.232 abitanti) e un senatore per 302.420 abitanti (ora è 188.867 abitanti). Complessivamente, come ha evidenziato l’Agi, con la nuova legge l’Italia avrebbe un parlamentare ogni 101mila persone (ora è 1/64mila), un rapporto più alto di Germania (1/117mila), Francia (1/116mila) e Olanda (1/115mila), simile al Regno Unito (1/102mila) e più basso di Spagna (1/84mila), Polonia (1/83mila) o Malta (1/7mila).

Per citare l’esempio bresciano, la nostra provincia passerebbe da 13 eletti a 10 o 11, suddivisi in sette deputati e tre o quattro senatori. Nel discutere della questione della rappresentanza a livello nazionale bisogna però anche tenere conto del fatto che l’Italia sia l’unico paese con un bicameralismo perfetto, in cui entrambi i rami del Parlamento svolgono le medesime funzioni: la riforma costituzionale che prevedeva la sostituzione del Senato con un’assemblea delle autonomie, nata con un disegno di legge dell’aprile 2014 del Governo Renzi approvato due anni dopo in via definitiva alla Camera, è stato bocciato dagli italiani con il referendum del 4 novembre 2016. Un conto, insomma, è avere 600 rappresentanti in un’unica assemblea e un altro è averli suddivisi in due parti, equivalenti per ruolo, ma non per quanto riguarda il numero dei rispettivi componenti.  

Al referendum si è arrivati perché 71 senatori, appartenenti a tutti i gruppi politici, tranne Fratelli d’Italia, hanno chiesto la consultazione popolare sulla nuova legge costituzionale, varata senza la maggioranza qualificata dei due terzi. Votando no, tutto resta com’è adesso, mentre votando sì, si approva la legge e il relativo taglio di deputati e senatori. In questo caso sarà necessaria un’ulteriore legge che ridisegni i collegi elettorali, oltre alla modifica dei Regolamenti dei due rami del Parlamento per cambiare alcuni quorum (ad esempio per formare i gruppi occorrono 20 deputati e 10 senatori, numeri che andranno abbassati) e evitare che la riduzione dei parlamentari paralizzi i lavori. È in discussione anche una nuova legge elettorale in senso proporzionale, ma per ora è ferma in commissione alla Camera ed è difficile che la sua approvazione arrivi prima del 20 settembre. 

Se in fase di approvazione in parlamento la maggior parte dei partiti ha appoggiato il taglio, ora le posizioni sono più variegate. Il fronte del sì vede schierato in prima fila il Movimento 5 Stelle, che ha sostenuto la riforma attraverso il Conte Uno e il Conte Bis e che ora la difende in maniera pressoché unanime, anche se alcuni parlamentari si sono espressi per il no (Elisa Siragusa, Andrea Vallascas e Mara Lapia). Negli altri partiti è difficile trovare unità di intenti: nel Pd, che in parlamento aveva prima votato contro la riforma, per poi appoggiarla una volta diventato alleato dei Cinque Stelle, il dibattito è aperto e si attende una direzione del partito per stabilire una linea comune, mentre parlamentari come Orfini, Verducci e Nannicini si stanno schierando per il no. Italia Viva è cauta sul tema, mentre in Forza Italia ci sono deputati come Mariastella Gelmini, capogruppo alla Camera, che voteranno sì, ma il portavoce del partito Giorgio Mulè e un esponente di rilievo come Renato Brunetta sostengono il no. Giorgia Meloni ha schierato Fratelli d’Italia per il sì, ma il coordinatore Guido Crosetto è più dalla parte del no. E la Lega? Salvini è per il sì, ma lascerà libertà di voto.

I favorevoli alla riforma puntano sulla riduzione delle spese destinate alla politica: Camera e Senato costano rispettivamente 960 e 545 milioni all’anno, il taglio dei parlamentari provocherebbe inizialmente un risparmio di 57 milioni annui, secondo l’Osservatorio conti pubblici di Carlo Cottarelli, che a regime potrebbero aumentare, fa notare sul Foglio Carlo Fusaro, considerando il ridimensionamento che nel tempo subiranno funzionari e servizi comuni, oltre che pensioni e vitalizi. Un altro argomento è quello dello snellimento delle procedure parlamentari.

I sostenitori del no chiedono una riforma costituzionale più ampia, lamentano la perdita di rappresentanza dei territori (in particolare per quanto riguarda il Senato), sottolineano il rischio legato a un «parlamento di nominati», in cui i partiti controllano i pochi eletti ancor più di quanto non facciano ora. La questione dei costi viene liquidata come irrisoria, 1,35 euro a cittadino. 

Chi vincerà? Un trionfo del sì appariva finora scontato, anche per via della retorica anticasta che ha accompagnato questa riforma, ma le previsioni stanno diventando meno nette, anche per via di un rafforzamento del fronte del no, almeno dal punto di vista mediatico. Dieci giorni fa Affaritaliani.it aveva commissionato un sondaggio in cui il sì era dato al 72,4%, mentre il Corriere (con Ipsos) dava il sì al 46%, il no al 10%, una fetta di indecisi pari al 24% e un 20% di elettori intenzionati a non presentarsi alle urne o a votare scheda bianca.

 

 

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