Italia e Estero

Il paradosso degli F-35: costosi, in ritardo, ma da tenere

Analisi impietosa della Corte dei Conti sugli F-35, ma per i magistrati interrompere il programma industriale vanificherebbe quanto fatto finora
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Il programma F-35 «è oggi in ritardo di almeno 5 anni» per le «molteplici problematiche tecniche (non ancora tutte risolte)», che hanno fatto anche sì che i costi del super-caccia siano «praticamente raddoppiati»; e pure le ricadute occupazionali e industriali per l'Italia «non si sono ancora concretizzate nella misura sperata». 

Tuttavia, dice in sostanza la Corte dei Conti, che ha effettuato un'analisi sul maxi-programma industriale, uscirne adesso vanificherebbe gli sforzi e gli investimenti finora effettuati, che nel prossimo futuro potrebbero cominciare a produrre i primi frutti.

Per l'Italia, ricorda la Corte, sono intervenute due decisioni: «La prima (nel 2012) ha ridotto da 131 a 90 il numero di velivoli da acquisire» (finora ne sono stati consegnati all'Aeronautica militare sette); «la seconda (nel 2016) ha impegnato il governo, per aderire alle indicazioni parlamentari, a dimezzare il budget dell'F-35, originariamente previsto in 18,3 miliardi di dollari». 

La prima decisione «ha avuto un costo per la base industriale» perché vi è stata «la perdita, in quota percentuale, delle opportunità di costruire i cassoni alari nello stabilimento di Cameri (Novara)»; inoltre «i risparmi teoricamente ottenuti dalla diminuzione della flotta (5,4 miliardi) si sono riverberati in concrete perdite contrattuali per 3,1 miliardi». 

La seconda decisione, invece, ha prodotto «un risparmio temporaneo pari a 1,2 miliardi di euro nel quinquennio 2015-2019, ma senza effetti di risparmio nel lungo periodo». Per quanto riguarda le ricadute economiche, la Corte sottolinea come queste siano al di sotto delle attese, «anche per effetto del rallentamento generale del programma». 

E così, per l'occupazione «si parla al momento di circa 1.600 unità effettivamente impiegate, a fronte di una forchetta previsionale annunciata tra 3.586 e 6.395 unità», mentre lo stabilimento di Cameri allo stato risulta «sovradimensionato» e sotto-occupato. 

Ma «se i ritorni programmati sono risultati ridimensionati rispetto alle aspettative, essi non sono però compromessi - avverte la Corte - e il prossimo avvio della piena produzione lascia aperte le prospettive per il futuro».

«Gli ingenti investimenti effettuati (3,5 miliardi di euro fino a fine 2016, e più di 600 milioni ulteriori, previsti nel 2017) trovano la propria giustificazione in una logica di continuità», scrive la Corte dei Conti, secondo cui «l'opzione di ridimensionare la partecipazione nazionale al programma determina potenzialmente una serie di effetti negativi», in primis «la perdita degli investimenti sostenuti finora, compresi quelli attinenti lo stabilimento di Cameri», la cui competitività è «fortemente legata» al mantenimento da parte dell'Italia degli impegni presi finora. 

La valutazione complessiva del progetto, si legge nella relazione, deve tener conto del fatto che «l'esposizione fin qui realizzata in termini di risorse finanziarie, strumentali ed umane è fondamentalmente legata alla continuazione del progetto». A questa «corrispondono infatti non solo i costi fin qui affrontati ed i ritorni economici già realizzati, ma soprattutto i costi in termini di perdite economiche, ove avesse termine o si riducesse sostanzialmente la partecipazione al programma».

Un'ultima considerazione della magistratura contabile riguarda «l'impatto del Programma sul sistema Paese», cioè «le imprese ed i lavoratori in esso coinvolti»: «il volume economico stimato per i prossimi 20 anni, pur nella sua visione più ottimistica, assume dimensioni ragguardevoli (circa 14 miliardi di dollari) e non va sottovalutato l'effetto moltiplicatore sull'indotto»..

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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