Il nuovo catasto dal 2026: cosa cambia per i proprietari
Il nuovo catasto, se mai vedrà la luce, scatterà nel 2026 e non si annuncia come una vera e propria rivoluzione. Non avrà legami con l’andamento dei prezzi di mercato mentre consentirà solo di consultare dall’archivio del singolo immobile i valori dell’osservatorio del mercato immobiliare (Omi) che fotografano i prezzi divisi per zone, ma con un’ampia forchetta tra un minimo e un massimo, impossibili da utilizzare ai fini fiscali per adeguare la tassazione. Sembra tramontata poi l’ipotesi di un archivio basato sui metri quadrati, più aderente alla realtà del vecchio criterio dei vani catastali.
Di certo arriverà invece una rinnovata caccia alle «case» fantasma, con una semplificazione delle comunicazioni e dell’uso di questi strumenti ai fini dei controlli sul territorio da parte degli enti locali.
Con una promessa: il maggior gettito scovato dall’evasione potrà essere utilizzato per abbattere il prelievo sugli immobili regolari dello stesso comune.
Il testo dell’accordo sul nuovo catasto è sfumato, come tutte le norme che realizzano una mediazione. È stato definito ma solo la prossima settimana sarà inserito nel provvedimento della delega ora all’esame del Parlamento, che per diventare operativa necessiterà di un decreto legislativo che, insegna la storia, non sempre è poi stato adottato. La previsione è comunque che le attuali informazioni del catasto saranno integrate con l’obiettivo di rendere disponibili nuove informazioni a partire dal 2026 e «non possano essere utilizzate per la determinazione della base imponibili dei tributi la cui applicazione si fonda sulle risultanze catastali».
«Le tasse non si toccano»
Come dire, le tasse non si toccano e, per usare il linguaggio più politico, non si passa da un regime catastale a un patrimoniale basato su valori reali. Agli attuali valori verrà affiancata un’ulteriore rendita. Che «potrà tener conto» e solo «ove necessario» di tre criteri. Inutile riportare il testo, piuttosto tecnico.
Di fatto si terrà conto di zone territoriali omogenee all’interno di uno stesso territorio comunale, un’operazione già realizzata in alcuni comuni con la revisione delle cosiddette zone censuarie. Sarà possibile poi una rideterminazione d’uso catastale distinguendo gli immobili in categorie ordinarie e speciali: questo potrebbe portare al superamento delle attuali categorie A1, A2, A3... che indicano le diverse tipologie (signorile, civile, economica) degli immobili, dividendo in due macro gruppi: gli immobili abitativi e quelli industriali-commerciali. Leggendo in controluce potrebbe sparire, in questi ulteriori valori catastali, la definizione di immobile di lusso.
Il terzo criterio, invece, si rifà a quella che tecnicamente viene definita «unità di consistenza», che attualmente è il «vano catastale» per le abitazioni e i metri quadrati o cubi per le altre tipologie, come i fabbricati industriali. L’intenzione - anche in questo caso letta in controluce - sarebbe quella di non arrivare all’introduzione dei metri quadrati. A questo si aggiungerebbe poi la possibilità di consultare tramite il catasto la banca dati dell’Omi. Certa è invece la lotta all’evasione immobiliare, verificando in concreto consistenze di terreni e fabbricati, ma anche il corretto «classamento e accatastamento», con incentivi per i comuni che realizzano questi accertamenti.
Il decreto Aiuti
Un’altra novità che riguarda tasse e comuni è prevista dal decreto aiuti. Nell’ultima bozza è previsto che i comuni-capoluogo di provincia con «disavanzo» pro-capite superiore ai 500 euro, possano decidere di aumentare l’Irpef, oltre i limiti ora previsti: possibilità che si accompagna a quella di tagliare spese, di aumentare i canoni delle concessioni e degli affitti, o di cedere parte del patrimonio.
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