Il Governo toglie i poteri all'anticorruzione
Diventa un caso l'eliminazione dal Codice appalti di una norma che affida particolari poteri di controllo e sanzione all'Anac. Presente nella riforma varata nel 2016, la norma scompare nella versione aggiornata e corretta passata in Consiglio dei ministri il 13 aprile scorso. E rischia di diventare legge così, col testo epurato.
Tra i primi ad accorgersene c'è il senatore che ha seguito il provvedimento da relatore in commissione Lavori pubblici, Stefano Esposito, Pd, e le reazioni non si fanno attendere, anche perché la vicenda scoppia sul sito dell'Huffington Post e da lì subito rimbalza. Fino a Washington, dove il premier Paolo Gentiloni in missione negli Usa, si mette in contatto col presidente dell'Autorità nazionale Anticorruzione, Raffaele Cantone.
Poco dopo Palazzo Chigi diffonde una nota assicurando che non c'è «nessuna volontà politica di ridimensionare i poteri Anac»: sarà posto rimedio «in maniera inequivocabile» già nella conversione della manovra correttiva. Cantone prende atto positivamente dell'impegno politico assunto, ma dall'Anac filtra perplessità per il fatto che la norma non sia stata oggetto di confronto in parlamento. In effetti, la riforma del Codice appalti è stata approvata nel 2016 con il vincolo di una revisione un anno dopo. Cosa che si è fatta con un testo correttivo. Ma alle Camere, nelle commissioni competenti, di abrogare la norma su Anac non si è mai parlato, assicura Esposito. Qualche dubbio lo aveva espresso il parere del Consiglio di Stato. Sta di fatto che la modifica spunta dopo l'iter parlamentare e dopo l'ok del Cdm. Il testo, già vidimato dalla Ragioneria dello Stato, era ormai pronto per la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
«Mi auguro - afferma Esposito - sia un mero errore materiale da parte degli uffici di Palazzo Chigi. Quel comma va reintrodotto, è un punto qualificante per prevenire casi di corruzione». La questione di fondo è proprio questa: dove si è prodotto l'errore? Ed è stato solo un errore o come si vocifera, c'è stata una «manina» in pre-consiglio dei ministri o tra i funzionari di Palazzo Chigi, che ha tentato di depotenziare Anac o di scatenare una polemica politica?
Il comma incriminato è quello sulla «raccomandazione vincolante»: se Anac rileva gravi inadempienze da parte di una stazione appaltante e casi conclamati di illegittimità, può imporre il ritiro in autotutela di un atto, pena la multa del dirigente. Una facoltà finora mai azionata in concreto. La vicenda ha innescato reazioni a catena. Anche da parte di membri del governo.
«Dobbiamo verificare, perché se le norme producono questi effetti, il Consiglio dei ministri deve fare una riflessione», dice ministro della Giustizia Andrea Orlando, attirandosi le critiche del renziano Ernesto Carbone: «Orlando fa dichiarazioni lunari. Se prima delle primarie ci fa sapere di quale governo è ministro e in quale Cdm siede magari possiamo capire che cosa pensa della norma sull'Anac». Per Matteo Orfini, presidente Pd, depotenziare Anac è un errore. I Cinque Stelle gridano al «colpo di spugna» nel bel mezzo dello «scandalo Consip» e Luigi Di Maio accusa il governo: quel che sta facendo «non ha niente a che fare con la lotta alla corruzione». Il ministro per le Infrastrutture Graziano Delrio parla di errore da correggere.
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