Fine di un’epoca: 35 anni fa cadeva il Muro di Berlino
La notte che crollò il Muro a Berlino faceva un freddo cane. Il cielo sembrava di cristallo e per qualche ora tutto restò sospeso. Poi il silenzio venne infranto. Gioia e picconate, abbracci e idranti, sbarre che si alzarono sotto gli sguardi allucinati dei Vopos, le guardie di frontiera che solo qualche ora prima avrebbero scaricato le mitragliette contro chi avesse voluto superare quella barriera eretta in un caldo agosto del 1961. Finiva un’epoca. Lo storico Francis Fukuyama, che guadagnò fama proprio per il saggio «The end of history», tre anni dopo avrebbe scritto che quella notte era finita la storia, convinto che l’abbattimento di quel muro avrebbe segnato la diffusione in tutto il mondo delle democrazie liberali, del capitalismo e dello stile di vita occidentale. Era l’illusione palpabile in quei giorni, tra Europa e America. Quanto fosse un’illusione lo possiamo constatare proprio nei nostri giorni, dopo 35 anni, a sette lustri da quelle ore di euforia. La meraviglia e lo stupore di quell’evento stanno anche nella banalità del concatenarsi degli accadimenti nella giornata del 9 novembre 1989.
Momento storico
Il Governo della Ddr aveva convocato una conferenza-stampa per le 19. Salone affollato di giornalisti per sentire le parole del portavoce Gunter Schabowski, che per un’ora buona parlò delle meraviglie del governo comunista. Poi si lasciò sfuggire che sì, forse qualche errore era stato anche commesso... Ed è a questo appiglio che si agganciò la domanda di Riccardo Ehrman, corrispondente da Berlino Est per l’Ansa. Chiese se tra gli errori non vi fosse forse la legge che impediva ai tedeschi dell’Est di viaggiare. Ed ecco che Schabowski estrasse dalla tasca della giacca un biglietto e lesse che da quel momento i tedeschi orientali avrebbero potuto andare a Berlino Ovest senza visto e passaporto. Ehrman sorpreso domandò: da quando? E il portavoce infastidito replicò: da ora! I tedeschi lo presero in parola e varcarono, increduli per la libertà concessa, il mitico Checkpoint Charlie, quello dello scambio di spie e prigionieri, scena strategica di giochi diplomatici e di centinaia di film.
Il mondo che cambia
Nei giorni successivi, fra la meraviglia del mondo intero, la gente prese a picconate la barriera che segnava la Cortina di ferro fra Occidente libero e Est sotto il giogo di Mosca. Dei pezzi del Muro si fecero reliquie, uno si trova persino al santuario di Fatima. La festa di quei momenti è entrata presto nei libri di storia. Forse troppo presto, perché le macerie idealmente stanno ancora oggi, più ingombranti che mai, nel cuore della Germania, nel centro dell’Europa e sullo scacchiere internazionale.
La Germania del cancelliere Helmut Kohl bruciò i tempi per riunire le sue due anime: a luglio del ’90 l’unione monetaria sotto il marco, a ottobre l’unione politica. Ma le distanze fra le due Germanie non si cancellano con le buone intenzioni e in questi anni sono aumentati malessere sociale, dissenso, rabbia, fino a far crescere nella vecchia Ddr comunista la presenza più vistosa della destra con simpatie naziste.
L’illusione perduta
Est e Ovest tedeschi distanti e persino ostili. La Cortina di ferro emblema della Guerra fredda fa ancora sentire il suo effetto divisivo. Ora persino su un duplice fronte. Da una parte sta la diversità di sentimenti che ancora distinguono le nazioni dell’ex Patto di Varsavia con il resto dell’Unione europea. E dall’altra parte hanno preso nuova aggressività le pretese di Mosca e dello Zar Putin che mostra gli artigli dell’orso ogni volta che vede sorgere qualche rapporto amichevole tra l’Europa e quelli che ritiene ancora Paesi satelliti della Grande Russia. Infine tutto si può dire ma non che il sistema liberare e democratico che aveva nell’America la sua culla, abbia oggi conquistato il resto del mondo. Due terzi del pianeta vive, e forse vuole vivere, in modo diverso. Muri, fili spinati e mitra spianati non sono svaniti quella notte di 35 anni fa.
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