Eitan, tra Pavia e Tel Aviv il giallo del bimbo rapito e conteso
Si punta sui canali diplomatici per risolvere almeno con un apparente lieto fine la vicenda tragica, sotto moltissimi aspetti, di Eitan, il bimbo di 6 anni unico sopravvissuto del disastro della funivia del Mottarone e vittima anche di un presunto rapimento due giorni fa, lui che oggi doveva iniziare le elementari.
«Stiamo accertando l'accaduto per poi intervenire», ha spiegato il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, mentre nell'inchiesta della Procura di Pavia il nonno, Shmuel Peleg, che ha portato il piccolo in Israele «per il suo bene», a suo dire, affinché cresca col ramo materno della famiglia e non con quello paterno che ne ha la tutela legale in Italia, è stato
iscritto nel registro degli indagati con l'accusa di sequestro di persona aggravato.
I legali di Peleg, gli avvocati Sara Carsaniga, Paolo Sevesi e Paolo Polizzi, hanno teso una mano per la risoluzione del caso, anche se la partita è molto complicata, sia in sede
giudiziaria sia internazionale. «Dopo essere stato estromesso dagli atti e dalle udienze e preoccupato dalle condizioni di salute del nipotino, ha agito d'impulso», hanno spiegato. Il giudice civile di Pavia aveva confermato come tutrice la zia paterna Aya Biran e i legali hanno proposto «reclamo». «Le azioni di prepotenza sono sempre sbagliate - hanno aggiunto - però mettiamoci nei panni di un signore che in terra straniera perde 5 familiari tragicamente (sono morti il padre, la madre, il fratellino e i bisnonni di Eitan, ndr), al quale i medici non parlano e gli avvocati dicono che il procedimento civile di tutela è stato fatto in modo sommario». E concludono: «Ci impegneremo perché vengano riconosciuti i diritti della famiglia materna, dopodiché confidiamo che Shmuel ritorni ad avere fiducia nelle istituzioni Italiane».
Intanto, stando ad un parere del ministero degli Esteri israeliano citato dal sito israeliano N12, Israele deve fare tutto quello che è in suo potere per restituire al più presto Eitan all'Italia. Parere che non ha trovato conferme in ambienti ufficiali. Sul fronte del ramo paterno, dopo le «preoccupazioni» della zia Aya per la salute anche psicologica del bimbo, la cui «casa è a Pavia», il marito della donna, Or Nirko, ha accusato la nonna materna Etty, moglie di Peleg, di essere «parte del rapimento». Lei che ha detto che il bimbo è arrivato in Israele in condizioni di salute «pessime».
Nelle indagini, coordinate dall'aggiunto Mario Venditti e dal pm Valentina De Stefano, è stato accertato che venerdì pomeriggio Peleg, ex militare, dopo aver preso il bimbo dalla casa di Travacò Siccomario (Pavia) per una visita concessa dalla zia, non l'ha più riportato indietro. Nel pomeriggio si sono imbarcati su un volo privato a noleggio di una compagnia tedesca da Lugano, città raggiunta in macchina. «Avevano parcheggiato lontano da casa venerdì mattina», ha riferito Aya, ma non è ancora chiaro se Peleg, che rischia un mandato di cattura anche per sottrazione internazionale di minore, fosse in compagnia di qualcuno che aspettava in auto. Pare che la nonna fosse andata via dall'Italia qualche giorno prima. E comunque, su presunti complici del blitz, indagano i pm con la Squadra mobile. «Non mi risulta ci siano indagini in corso su di lei», ha detto l'avvocato Francesco Caroleo Grimaldi, che assiste Etty, ma solo sul fronte dei risarcimenti per la tragedia della funivia. Intanto, lo zio Or Nirko punta il dito contro una raccolta fondi organizzata in Israele dalla famiglia materna, con cui sarebbero stati raccolti almeno 200mila euro. Per il volo privato i familiari potrebbero aver speso alcune migliaia di euro. Mentre sono in corso contatti dei legali a livello istituzionale, l'avvocato Cristina Pagni, che assiste Aya assieme ai difensori Armando Simbari e Massimo Saba, è andata a parlare col giudice tutelare di Pavia «per attivare la Convenzione internazionale dell'Aja» che prevede di assicurare il rientro del minore presso l'affidatario e il Paese di residenza nei casi di sottrazione internazionale.
Lo stesso Tribunale aveva ordinato il divieto di espatrio per il piccolo, se non accompagnato o autorizzato dalla zia. «È evidente che in Italia ci sia un problema di sicurezza e di
controlli», ha commentato il leader della Lega Matteo Salvini. Oggi, intanto, al primo giorno di scuola a Pavia Eitan non c'era.
Un bambino diviso tra due famiglie, o meglio ancora tra due anime della sua stessa famiglia. A due giorni dall'arrivo in Israele, di Eitan si sa comunque pochissimo. L'unico particolare che filtra è che Eitan sarebbe in cura nel prestigioso ospedale Sheba di Ramat Gan, sobborgo chic di Tel Aviv, non lontano da Ramat Aviv, altro quartiere residenziale della città, dove vive Etty Peleg, la nonna materna di Eitan. Ed è stata lei a rivelare che il piccolo è in cura. Non prima di aver negato, in un'intervista alla radio israeliana 103 FM, che si sia trattato di un rapimento. A suo dire «il bambino voleva tornare già da tempo in Israele. Adesso - ha spiegato - è sottoposto a consulti medici molto approfonditi, inclusa una cura psicologica che doveva essere fatta da tempo e non è stata fatta».
Dall'ospedale non giunge alcuna conferma: questione di privacy, rispondono cortesemente ma in modo inflessibile rimandando alla famiglia, l'unica - a loro giudizio - che può rispondere. Per gestire la comunicazione sull'intera vicenda, la famiglia - a quanto risulta all'ANSA - ha messo in campo una società specializzata guidata da Ronen Tzur, uomo che in passato ha fatto politica per poi passare al marketing occupandosi di campagne mediatiche anche su casi scottanti. «Le condizioni di Eitan - ha denunciato la nonna Etty nell'intervista alla radio israeliana - sono pessime e finalmente dopo 4 mesi i medici vedranno cosa è successo al piccolo». Per 4 mesi - da quando ad inizio giugno è stato dimesso dall'ospedale in Italia - secondo la nonna Eitan «non ha visto alcun medico a parte sua zia, che è un medico che si occupa dei detenuti». «Per 4 mesi - ha insistito - hanno impedito a me e a mio marito Shmuel di consultarci con medici e psicologi».
È in base a queste denunce che ora Eitan - che non si sa se sia effettivamente ricoverato o meno in ospedale e che dovrebbe essere in quarantena in base alle norme israeliane - è affidato a specialisti sia dal punto di vista fisico sia di supporto psicologico. Non c'è dubbio comunque che a prendersene cura nella vita di tutti i giorni sia, secondo le sue stesse parole, la nonna. «È il figlio di mia figlia Tal che lo ha avuto a 20 anni, è cresciuto a casa mia. Sono sua nonna, l'ho sempre seguito». E ci tiene a sottolineare che «Eitan non aveva legami con la famiglia di Aya», la zia in Italia. «Ora - ha concluso - sono io a curarmi di lui».
In perfetta coerenza con quanto questa parte di famiglia in Israele ha sostenuto da quando lo scorso 11 agosto ha fatto esplodere il caso denunciando che Eitan era «in ostaggio» in Italia.
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