Italia e Estero

«È finita, Norcia è finita»: paura e disperazione dopo i crolli

La città di San Benedetto aveva resistito alle precedenti scosse, ma ieri ha alzato bandiera bianca
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C'è solo polvere e macerie. Polvere e solitudine. Polvere e silenzio. E il bianco accecante della pietra sgretolata, esplosa sotto un cielo blu. Aveva resistito, la città di San Benedetto patrono d'Europa: alla botta del 24 agosto e a quella del 26 ottobre. Ferita sì, ma in piedi. Poi alle 7.40 di questo 30 ottobre che sarà ricordato nei libri di storia come il giorno in cui il centro Italia così come lo conoscevamo è sparito per sempre, Norcia ha alzato bandiera bianca. E c'è poco da dire, poco da girarci intorno: potrà pure essere ricostruita, ancora una volta attorno alla statua del fondatore dell'ordine dei benedettini rimasta miracolosamente al suo posto al centro della piazza; potrà pure rinascere, con l'impegno dell'Italia, di tutta l'Italia, forse più bella di prima. Ma non sarà mai più la stessa. 

Ci sarà sempre un prima e un dopo. Perché la scossa s'è portata via tesori che non sono solo opere d'arte, ma pezzi dell'anima stessa della città. Simboli che la gente porta con orgoglio in fondo al cuore. Basta affacciarsi nella piazza che porta il nome del Santo, per averne la certezza. Non c'è più la Basilica di San Benedetto: e non è un modo di dire. L'avevano tirata su alla fine del XIV secolo nel luogo in cui c'era la sua casa natale, una meraviglia conosciuta in tutto il mondo. Seicento anni dopo resta solo la facciata, ma chissà ancora per quanto: ogni scossa, ogni sobbalzo della terra, si porta via un pezzo. 

Tutto il resto, la forma a croce latina, l'abside, sono soltanto un ricordo. Le pietre bianche formano un cumulo di macerie da cui spuntano le travi di legno di quello che era il tetto. E non c'è più la cattedrale di Santa Maria Argentea: il tetto è completamente crollato, il lato sinistro è spanciato e ai piedi della facciata tagliata di netto all'altezza del rosone resta solo un ulivo simbolo di pace, schiacciato dalle pietre. 

In piedi è rimasto invece il museo della Castellina, con le sue mura possenti che hanno retto la magnitudo 6.5 della scossa di ieri mattina, anche se all'interno i danni sono pesanti. Come quelli della Loggia e della torre campanaria del palazzo comunale, tutta spostata sul lato sinistro. L’altro pomeriggio questa piazza era piena di gente, che aveva sfidato ancora una volta la paura. Ieri era deserta, spettrale. Con una patina di bianco a ricoprire tutto. 

Si sentono i passi dei vigili del fuoco e gli scricchiolii sinistri che arrivano dal centro della terra. E ogni nuova scossa pezzi di città si sbriciolano, obbligando pompieri e forze dell'ordine ad evacuare tutto il centro storico. Troppo pericoloso, anche per loro. 

Non c'è via, nella patria del tartufo nero, che non sia a rischio: in via Cesare Battisti le scosse del primo pomeriggio fanno venire giù un'ampia parte delle mura laterali di San Francesco, già lesionata il 26 ottobre, mentre della chiesa di Santa Rita resta solo un cumulo di macerie di fronte alla fontana. In via Mazzini, sul lato destro della Basilica, la vetrina di un negozio è intatta, come le porcellane all'interno. E vien da chiedersi quale logica, quale senso abbia tutto ciò. 

«È finita, Norcia è finita» ripetono tutti. «È solo questione di tempo e viene giù tutto». In via Roma le fioriere sono in terra, spaccate e sommerse di polvere, le porte divelte, le tende dei negozi inclinate. Per entrare nel centro di Norcia ci sono sette porte; sette accessi che interrompono la cinta muraria che protegge la città. Neanche questa, ha resistito. 

Tra Porta Romana e Porta Palatina son venuti giù 30 metri di muraglione e tra Porta Orientale e Porta Ascoli è crollato il torrione che i vigili del fuoco stavano mettendo in sicurezza, portandosi appresso pali di legno e catene. Su porta Ascoli le effigi degli imperatori Tito e Vespasiano guardano ancora con lo sguardo fiero il passante, ma dietro loro non c'è più nulla. Ogni 50 metri, per tutto il perimetro della cittadina c'è un crollo. A Porta Narenula sembra di essere arrivati alle porte dell'inferno: la strada è collassata di una cinquantina di centimetri, spaccandosi in più punti, con al centro una crepa larga almeno mezzo metro. 

Quando arriva il buio, il silenzio è totale. Non c'è una luce in tutto il centro storico, non c'è un essere umano. Le porte sono presidiate dalle forze dell'ordine ma in pochi sfiderebbero quell'oscurità, con la terra che continua a sobbalzare. Così quel dedalo di stradine e tesori non è altro che un corpo sfiancato, ferito a morte.

La gente lo sa e prima di lasciare il paese continua a passare davanti alle porte, per buttare un ultimo sguardo sull'abisso nero. «Sono distrutto - dice Giulio Moscatelli con le lacrime agli occhi - non ce la faccio più, non si vive più. Dove vado? In mezzo ai campi, dove non si muore».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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