Draghi: «Non esitare, siamo in guerra: il debito deve crescere»
«Ci troviamo di fronte a una guerra contro il coronavirus e dobbiamo muoverci di conseguenza»: «il costo dell'esitazione potrebbe essere irreversibile». Mario Draghi torna a parlare e, con una lunga analisi pubblicata sul Financial Times, racconta come va declinato il nuovo «whatever it takes». Un intervento che arriva proprio mentre in Italia riaffiora il dibattito su un suo ruolo in politica di chi lo vedrebbe come un possibile capo di governo, e nel quale non nasconde che è ora il momento di decisi interventi pubblici finalizzati ad aumentare la liquidità, anche a costo di far aumentare - come è scontato - il debito pubblico.
«I livelli di debito pubblico devono salire. Ma l'alternativa sarebbero danni ancora peggiori all'economia, rappresentati dalla distruzione permanente delle attività produttive e quindi della base di bilancio», scrive Draghi, con quella che sembra una inversione ad U rispetto alla sua filosofia di riduzione del debito. Una frase che racconta meglio di tutte la difficoltà che stiamo vivendo, visto che la pronuncia l'ex presidente della Bce sempre pronto a bacchettare i governi per la necessità di controllare la spesa, mettere a posto i conti e, soprattutto, impegnarsi per la riduzione del debito.
«È già chiaro che la risposta» alla guerra contro il coronavirus «deve coinvolgere un significativo aumento del debito pubblico». «La perdita di reddito del settore privato - scrive nella sua analisi - dovrà essere eventualmente assorbita, in tutto o in parte, dai bilanci dei governi. Livelli di debito pubblico più alti diventeranno una caratteristica permanente delle nostre economie e sarà accompagnata da una cancellazione del debito privato». Come dire, si tratta di un intervento non certo convenzionale. Del resto i riferimenti sono quelli di un'economia bellica e le «guerre sono state finanziate da aumenti del debito pubblico. Durante la prima guerra mondiale. In Italia e in Germania fra il 6 e il 15% delle spese di guerra in termini reali sono state finanziate con le tasse».
Uno dei concetti base è la velocità di azione, l'altro il ruolo dell'Europa. «La velocità del deterioramento dei bilanci privati, causata da uno shutdown che è inevitabile e opportuno» - scrive - deve incontrare «un'uguale velocità nel dispiegare i bilanci dei governi, mobilitare le banche e, come europei, sostenerci uno con l'altro in quella che è evidentemente una causa comune». Forse non è un caso che l'intervento dell'ex presidente della Bce arrivi alla vigilia della riunione dei capi di governo di un'Europa che appare ancora divisa in due, tra falchi e colombe.
Draghi su questo appare ottimismo, sembra buttare il cuore oltre l'ostacolo: sotto diversi punti di vista «l'Europa è ben equipaggiata» - sostiene - per affrontare questo «shock straordinario. Ha una struttura finanziaria capace di far confluire fondi in ogni parte dell'economia. Ha un forte settore pubblico in grado di coordinare una risposta rapida. La velocità - ribadisce - è essenziale per l'efficacia». L'ex presidente della Bce torna poi su quello che è uno dei sui punti cardini: il lavoro, che va difeso tutti insieme. «La priorità non deve essere solo offrire un reddito di base a chi perde il lavoro - spiega - Dobbiamo proteggere la gente dalla perdita del lavoro. Se non lo facciamo emergeremo dalla crisi con una permanente occupazione più bassa». Insomma scelte veloci e straordinarie perché il rischio è che la crisi non sia ciclica ma diventi strutturale e perché il nemico di fronte non è da sottovalutare. «La pandemia del coronavirus è una tragedia umana potenzialmente di proporzioni bibliche», parola di Mario Draghi.
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