Da Johnson a Trump: i leader scettici positivi al coronavirus
Nei commenti che fioccano sui social c'è chi parla di nemesi, chi tira in ballo il karma. Probabilmente è solo sfortuna, unita in qualche caso a una certa dose di noncuranza verso le misure di precauzione: fatto sta che con la notizia di Donald Trump positivo al coronavirus si allunga ulteriormente la lista dei leader mondiali - il britannico Boris Johnson, il brasiliano Jair Bolsonaro, il bielorusso Aleksandr Lukashenko - che da una posizione piuttosto spavalda nei confronti del coronavirus si sono ritrovati di botto proiettati nel ruolo del paziente da curare.
Johnson finora è stato senz'altro quello che se l'è vista peggio. Dopo essere risultato positivo il 27 marzo scorso, il premier britannico è stato ricoverato per diversi giorni in un reparto di terapia intensiva al Thomas Hospital di Londra. «Ho rischiato di morire», ha ammesso il 12 aprile al momento della dimissione. Un'esperienza che ha probabilmente contribuito a cambiare la sua prospettiva, orientata all'inizio della pandemia verso una sorta di fatalismo, con una propensione per la teoria dell'immunità di gregge da far raggiungere alla popolazione evitando qualunque restrizione.
Meno grave il decorso medico per il presidente brasiliano, rimasto positivo dal 7 al 25 luglio. Bolsonaro fin dall'inizio dell'epidemia ha sempre ostentato disprezzo per l'uso della mascherina, senza mai rinunciare a bagni di folla e comizi. Attività che peraltro ha ripreso senza fare una piega anche dopo aver superato la malattia. Apertamente negazionista infine Lukashenko. Il leader bielorusso aveva parlato di «psicosi» a proposito del virus e a luglio ha reso noto di aver superato l'infezione «rimanendo in piedi e senza sintomi». Il suo Paese, oltre a non avere deciso alcuna forma di lockdown, è stato l'unico europeo a non aver interrotto neppure il campionato di calcio e a non aver chiuso gli stadi.
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