Covid, dopo quasi due anni i numeri che (ancora) non tornano
I numeri misurano la pandemia. Mai come in questi due anni ci siamo ritrovati a leggere grafici, interpretare curve, ricordarci di ciò che abbiamo letto il giorno prima. Il bollettino per eccellenza ormai non è più quello meteorologico, ma quello che ogni giorno ci racconta - o almeno ci prova - qual è la situazione sul fronte Covid.
Ci sono i contagi, le vaccinazioni, i ricoveri e i decessi. Ci sono il livello comunale, quello provinciale, quello regionale, quello nazionale. C'è sempre un «però», dietro a questi numeri, che ci ronza in testa, perché se il loro scopo è quello di darci una fotografia chiara della situazione, va detto che non sempre l'obiettivo viene raggiunto.
Le vaccinazioni
Partiamo dai dati dei vaccinati, su cui c'è molto dibattito soprattutto in questi giorni in cui maciniamo record su record di nuovi contagi. Ma come - si chiedono in molti -: in Lombardia al 23 dicembre eravamo al 91,6% di vaccinati e abbiamo comunque raggiunto i 12.913 nuovi contagi? La fonte è la stessa Regione, che pubblica il dato sulla pagina Facebook del suo canale stampa, Lombardia notizie online. Però. Cosa rappresenta, esattamente, quel 91,6%?
Già il 23 novembre, l'assessore lombardo al Welfare, Letizia Moratti, soddisfatta per le adesioni alla dose booster, annunciava in un post: «In crescita le adesioni totali alla campagna vaccinale che in #Lombardia si avvicinano al 92% della popolazione vaccinabile over 12 anni. Nella giornata di domani sarà superata l’importante soglia del 90% di cittadini lombardi che hanno completato il ciclo vaccinale (prima e seconda dose)».
L'assessore si riferiva alla popolazione over 12. È passato un mese esatto, possibile che la percentuale sia rimasta pressoché uguale?
La situazione si complica se si guarda ai dati che Regione Lombardia pubblica sul sito istituzionale. Il report aggiornato al 25 dicembre 2021 dice infatti che in Lombardia ha completato il ciclo vaccinale l'87,37% della popolazione over 12. In questo caso il calcolo percentuale è relativo alla popolazione vaccinabile, anche se dal 16 dicembre scorso questa fascia si è ampliata includendo pure i bambini tra i 5 e gli 11 anni.
Consultando i dati territoriali le percentuali cambiano ancora. Per Brescia, per esempio, risulta completamento vaccinato (con due dosi o con il monodose J&J) l'80,87% della popolazione residente, dunque di tutti i cittadini bresciani, vaccinabili e non in base all'età. E i numeri delle altre province lombarde sono pressoché uguali.
Cambiando il bacino di riferimento (popolazione residente o over 12) cambia dunque la percentuale di persone che in Lombardia ha concluso la prima parte del ciclo vaccinale. Ed è chiaro che il 90% è ben diverso dall'80%.
Qui il difetto sta nella comunicazione dei numeri, che non sempre vengono spiegati a chi li legge in maniera corretta.
Report Iss: i contagi tra i vaccinati e i non vaccinati
Altro discorso meritano le tabelle pubblicate nel rapporto che l'Istituto superiore di sanità pubblica settimanalmente. L'ultimo è del 24 dicembre e fotografa la situazione a livello nazionale a martedì 21.
Il Report esteso dell'Iss che integra il monitoraggio settimanale sul Covid, pubblicato oggi, in particolare sulla distribuzione dei casi nella popolazione 0-19 anni rileva come, nell'ultima settimana, si conferma l'andamento osservato in quella precedente «con il 26% dei casi totali diagnosticati nella popolazione di età scolare (under 20 anni). Il 48% dei casi in età scolare è stato diagnosticato nella fascia d'età 6-11 anni, il 36% nella fascia 12-19 anni e solo il 11% e il 5% sono stati diagnosticati, rispettivamente tra i 3 e i 5 anni e sotto i 3 anni».
Il rapporto sottolinea anche che a distanza di 150 giorni dal completamento del ciclo vaccinale, «l'efficacia del vaccino nel prevenire la malattia, sia nella forma sintomatica che asintomatica, scende dal 71,5% al 30,1%». Rimane elevata l'efficacia vaccinale nel prevenire casi di malattia severa: nei vaccinati con ciclo completo da meno di 5 mesi è al 92,7%, mentre cala all'82,2% nei vaccinati che hanno completato il ciclo vaccinale da oltre 150 giorni. L'efficacia nel prevenire diagnosi e casi di malattia severa sale rispettivamente al 71,0% e al 94,0% nei soggetti vaccinati con dose aggiuntiva/booster.
Infine, il report dice che il rischio di terapia intensiva per i non vaccinati rispetto a chi ha la terza dose «è 85 volte maggiore per gli over 80; 12,8 volte maggiore per la fascia 60-79 anni; 6,1 volte maggiore per i 40-59 enni.
Questi, in particolare, sono i dati su cui si fa maggior confusione.
Iniziamo col dire che qui vengono pubblicati i numeri assoluti. Prendendo a esempio la colonna dei non vaccinati e confrontandola con quella dei vaccinati con ciclo completo da meno di 150 giorni (5 mesi), fa un certo effetto vedere 140.677 diagnosi contro 155.978. Fatto 100 il numero di nuovi casi, il 47,4% è non vaccinato, mentre il 52,6% lo è. Dunque si contagiano più i vaccinati? No.
È il cosiddetto effetto paradosso, «per cui il numero assoluto di infezioni, ospedalizzazioni e decessi può essere simile, se non maggiore, tra i vaccinati rispetto ai non vaccinati, per via della progressiva diminuzione nel numero di questi ultimi», come spiega l'Istituto superiore di sanità nel Rapporto.
I numeri assoluti vanno infatti rapportati alla «popolazione di appartenenza». 140.677 positivi al Covid sono il 2% dei 7.031.651 non vaccinati, mentre 155.978 casi sono lo 0,55% dei 28.222.661 di vaccinati da meno di 150 giorni.
Non siamo messi come nel 2020
Lo abbiamo scritto più volte in questi giorni: i numeri dei nuovi casi segnano un record ogni giorno, ma la situazione è molto diversa rispetto al 2020. L'effetto vaccini è evidente sul numero di ricoveri e di decessi, decisamente più basso rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, quando eravamo alla vigilia dell'avvio della campagna vaccinale.
Ma c'è un altro fatto determinante: il numero di tamponi eseguiti quotidianamente. Una crescita costante, accelerata dall'introduzione del Green pass obbligatorio per accedere ai luoghi di lavoro dell'ottobre scorso, che tocca il picco in questi giorni di festa per l'alto numero di screening scolastici da un lato e di controlli preventivi in vista di cene e pranzi coi parenti.
Più si cerca, più si trova: con più tamponi, molecolari o antigenici che siano, sale anche il numero di positivi. Il dato da monitorare per capire come sta andando non è dunque il valore assoluto dei nuovi casi, ma il tasso di positività, ossia i contagi in base ai test eseguiti.
Questo è l'andamento della Lombardia.
Il confronto con gli altri Paesi
C'è poi tutto il tema del confronto con gli altri Paesi, dentro e fuori dall'Europa. E i fattori da considerare si moltiplicano. Non solo perché in ogni Stato si applicano diverse misure di contenimento del contagio (in Germania, per esempio, il lockdown dei non vaccinati ha ridotto significamente il numero di nuovi casi in tre settimane), ma anche perché i sistemi sanitari sono diversi e reggono in maniera differente le ondate di ospedalizzazioni.
Anche qui i numeri assoluti raccontano solo una parte della pandemia, perché vanno sempre rapportati al numero di tamponi eseguiti. Così come è difficile avere un'idea chiara nel numero di vittime, perché l'età della popolazione è un fattore che influisce significativamente.
I numeri dunque sono fondamentali per conoscere il virus e la malattia e per prendere decisioni per stare al sicuro, anche se la loro interpretazione, per il lettore comune, non è sempre facile e lineare.
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato