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Cos'è il «metodo Dalla Chiesa» di cui si parla per l'arresto di Matteo Messina Denaro

Si tratta di una procedura d'indagine in cui vengono raccolti e confrontati tantissimi dati, ideata da Carlo Alberto Dalla Chiesa
L'arresto di Matteo Messina Denaro ieri a Palermo - Foto © www.giornaledibrescia.it
L'arresto di Matteo Messina Denaro ieri a Palermo - Foto © www.giornaledibrescia.it
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Il boss di Cosa Nostra, la mafia siciliana, Matteo Messina Denaro è stato arrestato ieri dopo una latitanza di 30 anni. Le ricerche si sono sempre concentrate in Sicilia e da ieri si parla del «metodo Dalla Chiesa» per spiegare la procedura che ha portato a rintracciarlo.

Il primo a fare riferimento a questo metodo è stato il comandante generale dei carabinieri Teo Luzi, che ha affermato: «Matteo Messina Denaro è stato catturato grazie al metodo Dalla Chiesa, cioè la raccolta di tantissimi dati informativi dei tanti reparti dei carabinieri, sulla strada, attraverso intercettazioni telefoniche, banche dati dello Stato e delle regioni amministrative». 

Carlo Alberto Dalla Chiesa era un generale che per tutta la carriera è stato impegnato nella lotta contro il terrorismo, prima delle Brigate Rosse durante gli anni dipiombo e poi della mafia. Dalla Chiesa fu ucciso nel 1982 da Cosa Nostra pochi mesi dopo essere stato nominato prefetto di Palermo. In un’intervista uscita a Repubblica, il generale Pasquale Angelosanto, comandante del Ros (Raggruppamento operativo speciale protagonista ieri della cattura del boss Matteo Messina Denaro), ha spiegato così la procedura di indagine ideata dal generale Dalla Chiesa: «La sua lezione era fondata su due pilastri: lo studio dei fenomeni e l’attività dinamica di controllo sul territorio, che sono la base del metodo del Ros. Dalla Chiesa aveva anche sottolineato l’importanza della tecnologia ed è in questo campo che rispetto a 50 anni fa ci sono stati gli sviluppi più importanti. Credo che su questo fronte noi possiamo conquistare un vero vantaggio e arrivare a essere un passo avanti rispetto alla criminalità organizzata».

Messina Denaro era latitante dal 1993, anno dell’arresto del boss mafioso Totò Riina. Le indagini che hanno portato all’arresto effettuato dal Ros sono state spiegate ieri dal capo della procura di Palermo Maurizio De Lucia e dal procuratore aggiunto Paolo Guido. Un ruolo fondamentale lo hanno giocato le intercettazioni telefoniche e ambientali di persone sospettate di avere contatti con Matteo Messina Denaro. Da alcune conversazioni era emerso che il boss potesse avere un tumore e per questo prenotava visite, terapie e interventi sotto il falso nome di Andrea Bonafede, con tanto di codice fiscale. 

Il procuratore Maurizio de Lucia durante la conferenza stampa sulla cattura di Matteo Messina Denaro - Foto © www.giornaledibrescia.it
Il procuratore Maurizio de Lucia durante la conferenza stampa sulla cattura di Matteo Messina Denaro - Foto © www.giornaledibrescia.it

Le indagini che hanno dato impulso alla cattura sono state le due operazioni chirurgiche, una per un cancro al fegato, l'altra per il morbo di Crohn. Una delle due operazioni peraltro era avvenuta in pieno Covid. I magistrati e i carabinieri hanno scandagliato le informazioni della centrale nazionale del ministero della Salute che conserva i dati sui malati oncologici. Confrontando le informazioni captate con quelle scoperte gli inquirenti sono arrivati a un certo un numero di pazienti. L'elenco si è ridotto sulla base dell'età, del sesso e della provenienza che, sapevano i pm, avrebbe dovuto avere il malato ricercato. Ha spiegato Angelosanto sempre a Repubblica: «Un’indagine di questo tipo si sviluppa sempre su livelli diversi. C’è quello tecnico, soprattutto con le intercettazioni. Quello dinamico, con pedinamenti e i controlli sul territorio. E quello informativo, per valutare qualsiasi spunto possa contribuire a integrare il quadro delle ricerche. In questo caso ci hanno colpito le discussioni che familiari e fiancheggiatori facevano su una specifica patologia oncologica».

Alla fine tra i nomi sospetti c'era quello di Andrea Bonafede, nipote di un fedelissimo del boss, residente a Campobello di Mazara. Dalle indagini però è emerso che il giorno dell'intervento, scoperto grazie alle intercettazioni, Bonafede era da un'altra parte. Quindi il suo nome era stato usato da un altro paziente. 

La carta d'identità del geometra Andrea Bonafede
La carta d'identità del geometra Andrea Bonafede

Solo tre giorni fa le indagini hanno confermato che la mattina del 16 gennaio 2023 Messina Denaro, alias Bonafede, si sarebbe dovuto sottoporre alla chemio. Certi di essere molto vicini al capomafia i carabinieri sono andati in clinica, poi Messina Denaro è arrivato con il suo favoreggiatore a bordo di un'auto. «Quella che non dimenticherà mai è l’ora più lunga, che è trascorsa dal momento in cui siamo entrati in azione nella clinica e quando siamo stati sicuri che si trattava proprio di Messina Denaro - ha raccontato il comandante del Ros -. La certezza l’abbiamo raggiunta soltanto quando l’abbiamo bloccato».

Il padrino non ha opposto resistenza, non ha tentato la fuga. Ha solo confermato: «Sono Matteo Messina Denaro». Poi la cattura, come ha sottolineato De Lucia, «senza ricorso alla violenza e alle manette». È l'ultimo atto per il boss, nel prologo nessuna soffiata o rivelazione: dietro quel momento c'erano solo trent'anni di lavoro accurato, minuzioso, paziente. 

Cos’è il Ros

Non è quindi un caso che nella sezione del sito dell'Arma dei Carabinieri dedicata al Ros, il Raggruppamento operativo speciale protagonista ieri della cattura del boss Matteo Messina Denaro, campeggi la foto del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. C'è una ragione precisa: le origini del reparto risalgono infatti al Nucleo speciale di polizia giudiziaria, il cosiddetto Nucleo «Scintilla», creato nel maggio del 1974 dal generale per contrastare il terrorismo interno. Si trattava all'epoca di appena 40 Carabinieri scelti proprio da Dalla Chiesa per le indagini più critiche e furono in prima linea durante gli anni di piombo. 

Il Nucleo si distingueva per l'innovativo metodo investigativo caratterizzato da osservazioni, pedinamenti, intercettazioni sempre più efficienti per identificare i membri delle formazioni eversive e i loro contatti, risalendo progressivamente ai vertici. Questo metodo, sottolinea l'Arma, «che contribuì agli inizi degli anni '80 alla disarticolazione dei più importanti gruppi terroristici attivi in Italia, quali le Brigate Rosse, Prima Linea, Nuclei Armati Rivoluzionari, venne, poi, adottato per il contrasto a qualsiasi forma di criminalità organizzata». 

Il Ros è stato istituito formalmente il 3 dicembre 1990, si articola in una struttura centrale e una periferica ed è comandato da un generale, Pasquale Angelosanto. Alle sue dirette competenze operano quatti reparti: Antiterrorismo, Indagini tecniche, Indagini telematiche, Crimini violenti. La struttura anticrimine periferica è articolata in 8 Reparti Anticrimine (Torino, Milano, Roma, Bari, Napoli, Catanzaro, Reggio Calabria e Palermo) e 18 Sezioni Anticrimine, collocate in sede di Procure distrettuali Antimafia e Antiterrorismo nonché 3 Nuclei a Livorno, Nuoro e Foggia. Gli investigatori del Ros hanno al loro attivo arresti eccellenti come quello Totò Riina, il 15 gennaio 1993, eseguito dall'unità Crimor guidata dal capitano Ultimo-Sergio De Caprio ed indagini come «Crimine contro la 'ndrangheta» nel luglio 2010 e «Mondo di mezzo», a Roma, tra il 2014 ed il 2015. 

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